CARLO TARALLO
Carlo Tarallo per "la Verità"
L'umanità si divide tra chi ha visto Maradona e chi no, e io l' ho visto. L' ho visto giocare, vincere, perdere (pochissime volte), gioire, saltellare come un bambino, cadere, rialzarsi.
L' ho visto prendere per mano un Paese come l' Argentina, la più napoletana delle nazioni, e una città, Napoli, la più sudamericana delle città d' Europa. L' ho visto irridere i potenti del calcio, e ho visto i potenti del calcio fargliela pagare. L' ho visto precipitare nel tunnel della droga, soffrirne e goderne, tentare di uscirne ma senza troppa convinzione, poi farcela per grazia di Dio, ma con il fisico messo a dura prova.
L'ho visto piangere, Diego, a pochi metri da me, nella gioia e nel dolore. Ho visto Maradona, io, e quindi sono assolutamente in grado di spiegare ogni cosa lo riguardi. Di maradonologi del giorno dopo ce ne sono anche troppi. Mentre voi perdete tempo a raccontare come è morto, io proverò a raccontarvi come è vissuto, nella mia Napoli, per sette anni. Ho visto Maradona per la prima volta il 5 luglio del 1984. Napoli era ancora scossa dalla scossa del 23 novembre 1980, la ricostruzione era appena iniziata. Napoli contava, esprimeva politici importanti, mica come quelli di oggi.
maradona lifting
Qualche nome? Tre: Vincenzo Scotti, all' epoca sindaco, Antonio Gava, Paolo Cirino Pomicino. Il Banco di Napoli diede l' ok all' operazione, nessuno ha mai capito come e perché, e a nessuno da queste parti è mai fregato nulla. All' ultimo istante dell' ultimo giorno di calciomercato, il tiranno Juan Gaspart, vicepresidente del Barcellona ostile alla trattativa, alzò bandiera bianca. Il presidente Corrado Ferlaino depositò in Lega la famosa busta vuota, in attesa che arrivasse il contratto. E Diego fu.
maradona al san carlo 8
Diego fu e Napoli pure, l' abbraccio del 5 luglio 1984 è roba che solo chi c' era (io, undicenne) può tentare di raccontare. Uno stadio gremito all' inverosimile, biglietti a 3.000 lire, per salutare Maradona. Spuntò dagli spogliatoi e sfavillava, Diego: fece il giro del campo, tra le proteste di tutti quelli che non riuscivano neanche a vederlo, circondato da fotografi, telecamere, intrusi autorizzati, vigili urbani, chiunque. Venne steso un telone al centro del terreno di gioco, lui fece qualche palleggio, un tiro, e disse qualche parola. Undici, per la precisione.
diego armando maradona festeggia il 35esimo compleanno con la moglie e l agente guillermo coppola 1996
«Buonasera napolitani, sono molto felice di essere con voi. Forza Napoli». Il boato che seguì, non è descrivibile. Napoli affranta, Napoli post terremotata, si scambiava pizzicotti, per capire se tutto quello fosse vero. Era verissimo, tanto vero che quando iniziò il campionato la dura realtà si manifestò ai nostri occhi. Il Napoli, con Maradona, galleggiava a metà classifica. Diego iniziò a farsi sentire da Ferlaino: devi comprare i campioni, io ti prometto che ti faccio vincere lo scudetto. I campioni arrivarono, e quel Napoli diventò campione d' Italia una, due volte. Vinse la Coppa Uefa. Ovunque andavo, tutto era cambiato.
maradona durante argentina nigeria 15
«Sei di Napoli? Coraggio», mi ero sentito dire fino a quel momento. «Napoli? Maradona! Maradona!» mi sentii dire da quel momento, che mi trovassi in Sardegna, in Inghilterra o appena atterrato in Giappone. Non ero più un cittadino di Napoli, ero un cittadino di Maradona. Ho visto Maradona, io, in campo e fuori. Andai in panchina, come giovanissimo secondo portiere della squadra dei giornalisti che sfidava gli attori e gli artisti per beneficenza. Maradona era ospite d' onore nonché incaricato del calcio d' inizio. Arrivò negli spogliatoi allegro, contento, disponibile con tutti, rideva e scherzava. L'abbraccio con Massimo Troisi fu un arrivederci a troppo presto: all' altro ieri, per la precisione.
CAPELLO DI DIEGO MARADONA
Ho visto Diego fare letteralmente faville nei locali napoletani di via Martucci. Una sera del 1990, dopo una vittoria con la Juve, 5-1, in Supercoppa italiana, arrivò con un completo giallo e un sottogiacca nero che solo uno come lui poteva indossare con tanta scioltezza. L'ho visto sfrecciare in Ferrari, affacciarsi al balcone della sua casa per salutare i tifosi in presidio permanente effettivo. Ah: il 7 novembre 1989 Diego sposò a Buenos Aires Claudia Villafane, il sottoscritto indossa ancora oggi la bomboniera, una cintura di eccellente cuoio argentino.
MESSI MARADONA
Tra gli ospiti d'onore alle nozze c'era il fratello di mia madre, Ciccio Marolda, uno dei suoi più cari amici qui a Napoli. Diego amava ballare, divertirsi, bere. Tirava tardi tutte le notti, la mattina spesso non si presentava agli allenamenti ma nessun compagno di squadra ha mai avuto nulla da lamentarsi: era il trascinatore in campo e il migliore amico di tutti fuori. Un leader in tutti i sensi. Una volta si mise a cantare a squarciagola, alle 4 del mattino, all' uscita da un locale. Una donna lo rimproverò dal balcone: «Uè, facci dormire!».
MARADONA
«Signora sono Diego Maradona!». «Diego comm si bell, e come canti bene!». Avevo (come ho avuto sempre, fino a quando la pandemia ci ha tolto anche questo) l'abbonamento in curva, al San Paolo. Lo stadio, che adesso dovrebbero intitolare a lui, aveva una capienza di 81.000 spettatori, spesso e volentieri si sfioravano le 90.000 presenze effettive. Pronti, via, e la magia aveva inizio. Ho visto Maradona in campo, a Napoli e in molte trasferte, per tutti i sette anni in cui è stato qui. Raccontare le sue giocate è perfettamente inutile, le conoscete a memoria.
MARADONA CON CLAUDIA E LE FIGLIE
Ma lui non è ricordato solo per le gesta dentro al campo. Lo hanno accostato alla camorra, ma anche qui si è creato un cortocircuito. Diego era idolatrato, e oggi compianto, tanto dai camorristi quanto da di chi dava loro la caccia e persino dai «camorrologi» come Roberto Saviano. E ci sarà un perché. In quegli anni la Nuova famiglia, una coalizione di clan nata per opporsi al dominio incontrastato del «Professore», Raffaele Cutolo, leader della Nuova camorra organizzata, aveva nel clan Giuliano di Forcella una delle organizzazioni più potenti.
MARADONA
La foto con Diego era un motivo di orgoglio e una dimostrazione di potere. E lo scatto arrivò, nella famosa vasca da bagno. Diego era Diego, non gli passava neanche per l'anticamera del cervello di non godersi la vita, ogni sera andava in giro e incontrava chiunque, e quando sei una specie di dio in terra chiunque, spesso, cerca di sfruttarti, guadagnare soldi e fama a tue spese.
Così fu anche per Diego, che a Napoli era circondato dall' amore del popolo, della gente per bene, ma pure dalla spregiudicatezza di personaggi oscuri. Anche perché la dama bianca, la coca, si era impossessata di lui, ne aveva avvelenato il sangue, in maniera irrimediabile, buttandolo in quei brutti giri. Lui aveva ben chiaro cosa voleva essere e come voleva vivere: «Non sono un esempio per nessuno, sono un calciatore», diceva spesso.
CORRADO FERLAINO E DIEGO MARADONA
Diego per sette anni illuminò ogni santo giorno che Dio mandò in terra, a Napoli. Fece diventare questa città la capitale del calcio mondiale. Riuscì nell' impresa di riscattare tutti i Sud del mondo, partendo da uno dei più complicati. E il popolo napoletano, ogni benedetta domenica, si recava al tempio per onorarlo come si deve. Il cielo Diego, però, non lo toccò a Napoli ma in Messico. Con la mano di Dio. Era il 1986.
Avevo 13 anni, ero in vacanza a Ischia, provincia di Maradona. Nella villetta accanto alla mia c'era una famigliola tedesca. La finale della Coppa del Mondo non poteva che essere Argentina-Germania. «Carlo, non fare casino stasera se vince l'Argentina», mi disse mia madre. «Tranquilla» risposi io. Il capofamiglia tedesco mi stava sonoramente sulle scatole: aveva preteso e ottenuto che spegnessi il motore dello scooter prima dell'ultima salita, quella che portava alle villette.
diego armando maradona a italia 90
Una salita veramente ripida, che io avevo dovuto affrontare non a bordo del mio Cayman da cross, in scioltezza, ma spingendola, con il motore spento, una fatica immane in piena estate, perché il tedesco è tedesco e si incazzava. «Io non respirare tua benzina!» mi aveva urlato un paio di volte con tono da kapò. Quella sera, Diego mise k.o. la Germania, e io feci qualche giretto in moto, ma giusto qualcuno, intorno alla villetta del vicino teutonico, prima di scendere in piazza, a Casamicciola, a festeggiare.
CORRADO FERLAINO E DIEGO MARADONA
Ero campione del mondo, io. Poi arrivò il 1990. Notti magiche, il mondiale italiano. Semifinale Italia-Argentina. Dove se non a Napoli? Non mi estorcerete una piena confessione, ma vi dico solo che quella sera, Napoli era, diciamo neutrale. «Si ricordano che siete italiani solo adesso», ci disse Diego prima della partita. Napoli rispose a modo suo: quella sera al San Paolo non si tifava per nessuna delle due squadre in campo, ma solo per Diego. Vinse. E gliela fecero pagare.
maradona falcao ottavio bianchi maradona maradona al san carlo 1 DIEGO ARMANDO MARADONA NEL DOCUMENTARIO DI KUSTURICA 4 galeazzi maradona DIEGO ARMANDO MARADONA AD ACERRA