Occhio di lince per www.lettera43.it
Povera Lorenza Pigozzi. La direttrice della comunicazione del Gruppo Mediobanca negli ultimi giorni si è data un gran da fare per tamponare gli assai amari effetti che l’intervista di Jean Pierre Mustier, capo di Unicredit, ha prodotto su Alberto Nagel, amministratore delegato della banca di piazzetta Cuccia. La telefonata più accorata immagino l’abbia dovuta fare a quel birbante di Giorgio Meletti, che sul Fatto Quotidiano ha dato eco, moltiplicandone gli effetti, a quanto l’amministratore delegato di Unicredit aveva detto ad Andrea Greco di Repubblica.
mustier prima e dopo
UN DURO ATTACCO A NAGEL.
«Non è vero, Mustier non pensa quelle cosacce di Alberto», ha sostenuto la Pigozzi a tutti gli interlocutori che le sono capitati a tiro di telefono. Peccato che quelle cose le aveva già scritte il vostro Occhio di Lince, il cui già smisurato ego nel vederle nero su bianco – vi devo confessare la debolezza – è cresciuto ancora. Parole, quelle di Mustier, senza infingimenti. Anzi, talmente crude che al povero Maurizio Beretta, il capo della comunicazione abituato a troncare e sopire, è venuto lo sturbo quando le ha lette. (Ma è bene dire che il banchiere francese in materia si fida solo della sua storica consulente Louise Tingstrom, la quale in Unicredit fa il bello e il cattivo tempo) .
PAROLE PRONUNCIATE NON PER CASO.
alberto nagel vincent bollore
Mustier, che nell’occasione ha potuto constatare quanto sia lontano anni luce il suo stile diretto e militare da quello felpato da vecchio democristiano del capo della comunicazione di Unicredit – che pure non lo molla un minuto, bastava vederlo come gli facesse quasi da guardia del corpo alla prima della Scala il 7 dicembre, per rendersene conto – non ha parlato a caso. E ha deciso non solo di far finalmente il padrone in casa della controllata Mediobanca, facendo piazza pulita la vecchia abitudine che voleva i ruoli rovesciati, ma anche di attaccare i vertici di piazzetta Cuccia per arrivare a modificare gli equilibri azionari dentro Mediobanca e conquistare di conseguenza il controllo di Generali.
Ma attenzione, il suo non è il “piano francese”, d’intesa con Bolloré e Donnet, di cui si è parlato e che io stesso ho immaginato fosse in atto. No, le cose stanno diversamente. Non che l’amministratore delegato di Generali non abbia davvero in testa di consegnare il Leone ad Axa, da cui proviene, in uno schema in cui è Bolloré a spianare la strada all’operazione in salsa transalpina. Ma la novità è che Mustier non fa parte del gioco. E se in passato è stato così, ora non lo è più.
donnet prima e dopo
UNA MAXI RICAPITALIZZAZIONE POSSIBILE.
Il ruvido banchiere francese, infatti, si è reso conto che gli advisor finanziari che gli stanno seguendo la preparazione del lancio dell’aumento di capitale da 13 miliardi che è stato annunciato nei giorni scorsi, hanno la concreta possibilità di portare a buon fine la maxi ricapitalizzazione piazzandola tutta sul mercato, senza dover ricorrere ad alcun “cavaliere bianco”, compresa la SocGen di cui si è largamente sospettato.
E che, se la situazione fosse questa, Mustier potrebbe creare la prima vera public company creditizia italiana. Una banca super patrimonializzata e con a capo un banchiere dalla leadership fortissima, ma senza azionisti di riferimento, visto che quelli attuali saranno talmente diluiti da scomparire. Così, il manager francese avrà a disposizione una cifra monstre, 20 miliardi (13 dall’aumento di capitale e 7 da cessioni), con cui regolare molti conti nell’arrugginito capitalismo italico, rompendone gli antichi ma fragili equilibri.
PER SALIRE IN MEDIOBANCA BASTANO 1,4 MILIARDI.
Come? Per esempio portando la quota di Unicredit in Mediobanca dall’attuale 8,56% (la più grande) a ridosso della soglia del 30% oltre la quale scatta l’obbligo di opa totalitaria. La spesa non sarebbe un problema: Mediobanca capitalizza 6,7 miliardi, il 20% aggiuntivo costerebbe 1,4 miliardi, meno di un decimo della nuova liquidità di cui Unicredit si troverà a disporre. Forse qualche problema potrebbe venire dal fatto che l’attuale quota di Unicredit è associata in un vasto patto di sindacato che assomma il 31% del capitale della banca creata da Enrico Cuccia.
BOLLORE'
Ma intanto «l’accordo ha durata sino al 31 dicembre 2017» e, come si legge al punto 11, «si rinnova automaticamente per ulteriori periodi di 2 anni fra i partecipanti che non ne abbiano dato disdetta almeno tre mesi prima della scadenza, a condizione che essi rappresentino almeno il 25% del capitale di Mediobanca», e non è detto che quel pacchetto di azioni aggiuntive che Unicredit acquisirebbe, Mustier possa metterlo insieme al di fuori del patto. E poi, è la guerra tra Bolloré e Berlusconi a rendere precario quel patto, cui partecipano da un lato la Financière du Perguet S.A. del finanziere bretone e dall’altro Mediolanum e Fininvest (e Unicredit è advisor di Mediaset nella difesa da Vivendi).
JEAN PIERRE MUSTIER
OBIETTIVO REDDITTIVITÀ MASSIMA.
Insomma, volendo gli equilibri in Mediobanca si rompono. Per fare che cosa? Beh, basta leggere l’intervista del banchiere che si è forgiato nella Legione Straniera, per capirlo. «Vogliamo che Mediobanca migliori la redditività: saremo molto vigili perché lavori sodo allo scopo. Ne siamo il primo azionista e vogliamo che abbia la migliore strategia possibile, deve creare adeguato valore», ha detto Mustier sottintendendo che ora non è così. E poi: «Vale anche per Generali, la cui redditività continueremo a presidiare tramite Mediobanca». Più chiaro di così.