Fabrizio Barbuto per “Libero quotidiano”
michele ruffino
Era il 23 febbraio 2018 quando il 17enne Michele Ruffino si è tolto la vita gettandosi da un ponte di Alpignano perché vittima di bullismo. Maria Catrambone Raso, madre del ragazzo, non prende pace: è straziata da un dolore che vorrebbe sfogare con le lacrime ma che soffoca nella collera, perché sa che quello di abbassare le difese è un lusso che non può concedersi, deve essere arrabbiata anche al posto di quel figlio al quale aveva insegnato la mansuetudine, le volte in cui pensava di agire nel suo bene erudendolo a rispondere con l' indifferenza alle provocazioni di chi lo chiamava "handicappato" e gli sputava addosso.
Un vaccino scaduto, somministratogli quando aveva sei mesi, aveva causato a Michele delle malformazioni invalidanti a gambe e braccia, ma le beffe della vita devono essere sembrate irrisorie a chi ha deciso di aggiungervi una persecuzione tale da trasformare la sua adolescenza in un inferno. «Tornava a casa con gli occhi rossi e gli chiedevo "Michele che hai?" ma lui mi rispondeva sempre di non preoccuparmi, che andava tutto bene. Pensava di averci dato già troppi problemi per la sua disabilità». Ma la donna scoprirà da sola del dileggio consumato a scuola ai danni del figlio.
Ella sostiene che, rivolgendosi al dirigente scolastico, sia stata istigata all' omertà e sollecitata a non denunciare: «"Ce la vediamo noi", mi dicevano, intanto mio figlio continuava a tornare a casa nelle stesse condizioni. Mai una sospensione, mai una punizione». Secondo quanto sostenuto da Maria, nell' istituto professionale teatro degli episodi denunciati, l' argomento bullismo sarebbe un tabù di cui solo i mesti volti degli oppressi possono parlare, mai le bocche di chi continuerebbe ad obbedire ad un regime di censura che non fa trapelare nulla.
michele ruffino
LA CERIMONIA Sempre secondo quanto sostenuto dalla madre di Michele, la connivenza di presidi, professori e compagni sarebbe stata perpetrata anche oltre la morte del ragazzo, quando la donna, animata dal proposito di celebrare i 18 anni del figlio scomparso, ha indetto una cerimonia commemorativa in onore alle vittime di bullismo: «Ho pregato la preside di esserci ma non è venuta. Così come non sono stati presenti professori e studenti, ad eccezione del docente di pasticceria e di quattro compagni che ogni tanto vengono ancora a farmi visita».
Nonostante la tragedia che l' ha investita, Maria è lucida e presente a se stessa, e forse è proprio questo il dramma di chi la vorrebbe prostrata a rimuginare su un dolore tale da ridurla all' inerzia; ma lei va avanti, intenzionata a rendere giustizia a quel figlio che comunicava la sua sofferenza con l' autolesionismo e che sovente era preda di crisi di panico.
«Vorrebbero chiudere il caso per suicidio, ma non esiste. Devono andare a prendere ad uno ad uno chi si è reso responsabile della morte di mio figlio». Ogni prova raccolta, per questa donna d' acciaio, è come una carezza a Michele, ecco la ragione per la quale non si ferma: non vuole perdere il contatto con quelle guance solcate dalle lacrime, asciugandole, di volta in volta, con un indizio che conduce alla verità.
FUGA DALLA REALTà Nell' ascoltarla vorrei convincerla che si sbaglia, e che il suo affezionato figlio sia ancora a casa, davanti a quel pc che rappresentava l' unico punto di fuga dalla realtà; ma poi non posso che arrendermi all' idea che Michele sia ormai da tutt' altra parte, in quello stesso feretro dinanzi al quale, i bulli, avrebbero avuto l' ardire di perpetuare la derisione, il giorno del funerale: «Un ragazzo rideva davanti all' epigrafe di Michele all' ingresso della chiesa, dicendo che nella foto era venuto bene, e che dal vivo era molto più brutto e sgorbio. È stato denunciato dai testimoni che me l' hanno riferito. I suoi genitori, intanto, erano dentro la chiesa a farci le condoglianze».
MICHELE RUFFINO E MARIA CATRAMBONE RASO
Non è a caso che Maria fa menzione alla condotta ipocrita dei congiunti del bullo, la rieducazione più difficile, a suo dire, sarebbe infatti quella dei genitori di questi delinquenti in erba, i quali si appellerebbero al negazionismo per riscattare l' operato infame dei figli. La donna sostiene che nessuno, tra padri e madri degli aguzzini di Michele, avrebbe bussato alla sua porta per rivolgerle una parola di scusa o di conforto, al contrario, sfidandola apertamente, l' avrebbero tacciata di mitomania gridando alla calunnia. Sembrano non perdonarle di aver detto la verità, avrebbero voluto vederla tacere come ha fatto Michele, ma lei non depone le armi, tanto che ha fondato un' associazione a nome "Miky Boys", nell' aspettativa che i giovani bullizzati vi trovino rifugio.
I genitori di Michele non hanno potuto donare gli organi del figlio perché le circostanze l' hanno impedito, Maria ci tiene però a raccontarmi un episodio commovente: «Un ragazzo di Salerno mi ha contattato dicendomi che, se mai fosse diventato padre, avrebbe chiamato il figlio Michele. Ci siamo risentiti qualche giorno fa: la sua compagna è incinta, e voleva comunicarmi che terrà fede alla promessa». Qualcosa di impareggiabile, questo dolce angelo dal sorriso disarmante, è riuscito comunque a donarla, ma non si tratta del solo nome, bensì della speranza che qualcuno cresca con quei valori di umanità e dolcezza a lui familiari, nel fiducioso auspicio che, questa volta, non vengano oltraggiati.
michele ruffino con la madre