Estratto dell’articolo di Andrea Mollas per roma.repubblica.it
"Scusami un attimo. Che c'è uno sporco negro che mi disturba". Quando torna a raccontare ciò che gli è successo Adama Doumbia sorride per lasciare che la cattiveria e l'intolleranza con cui ha avuto a che fare qualche giorno fa, scivoli via. "Le avevo solo detto di raccogliere gli escrementi del cane, non pensavo mi aggredisse così".
adama doumbia parco nemorense
Dietro quel sorriso gentile c'è la storia di una vita che non si stupisce e neanche si rassegna. In Italia è arrivato tre anni fa dal Mali. Ha trovato lavoro nel bar del Parco Nemorense, un giardino ai Parioli non lontano dalla maestosa Villa Ada. Molta ghiaia a terra, molti cani portati giù dai grandi palazzi che si affacciano su quell'intento di verde.
Nel bar Adama Doumbia, lavoratore di una cooperativa, presta servizio come manutentore. Tiene pulito il parco.
Pochi giorni fa mentre è al lavoro chiede a una signora di raccogliere e mettere nella bustina gli escrementi del suo labrador. Lei continua a parlare al telefono, come se lui non esistesse. Lui ripete l'invito. Lei a quel punto interrompe la telefonata stizzita: "Scusami un attimo. Che c'è uno sporco negro che mi disturba".
Una frase a voce alta, pronunciata di fronte ad altri. Adama si ferma, resta in silenzio, la dottoressa richiama il cane e esce dal parco.
bar parco nemorense
"Sì che ho sentito", dice una testimone. "Ho visto questa donna mentre camminava velocemente parlando al telefono, chiamando ogni tanto il cane per farsi sentire. Dietro lei c'era il signore del bar che le chiedeva di raccogliere i bisogni ma con scarsi risultati. Prima si è voltata verso di lui urlandogli di tacere perché impegnata con un suo paziente in quanto dottoressa, poi, visto che lui insisteva, gli urlato l'insulto razzista".
"È stato raccapricciante" - afferma la testimone - "Sono andata da lui per rincuorarlo, mi sono vergognata di essere italiana".
Un episodio vile, così come tanti altri che ha vissuto sulla sua pelle: "Non è la prima volta che mi chiamano così. Ogni giorno cerco di far rispettare le regole, eppure ad altri non importa. Se provo a dire loro qualcosa mi dicono che devo tornare in Africa, oppure che sono negro e non devo parlare perché sono ospite".
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