Andrea Lavazza per “Avvenire”
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Uno studio che ha permesso di fare maturare in laboratorio ovuli femminili tratti da ovaie 'spente' apre a importanti progressi nella medicina riproduttiva e, insieme, suscita interrogativi di tipo bioetico. Il gruppo di Evelyn Telfer all'Università di Edimburgo è riuscito a rendere 'vitali' i gameti femminili tratti da individui transessuali da tempo sottoposti a cure ormonali con testosterone. Ciò permetterebbe a queste persone di programmare una maternità con i propri ovuli senza le difficoltà e i forti disagi che implicano i metodi usati oggi.
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Il punto di partenza è che le donne che vogliono fare una transizione di sesso devono intraprendere un percorso che porta all'interruzione del ciclo mestruale o al mancato avvio di esso per le giovanissime. Se in seguito gli uomini transgender volessero procreare con i propri gameti, dovrebbero interrompere i trattamenti e far riattivare le mestruazioni per ottenere l'ovulazione. A Edimburgo, come riferisce la 'MIT Technology Review', si è proceduto prelevando tessuto ovarico - anche dopo anni di assunzione di testosterone, che rende più spesso e duro il follicolo - e tentando di ottenere cellule riproduttive funzionali con una procedura in vitro.
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In particolare, i ricercatori hanno tagliato il tessuto che circonda il follicolo e poi lo hanno allungato con un processo che stimola le vie di segnalazione cellulare in modo che venga rilasciato un ovocita maturo. A quel punto, la persona potrebbe ricorrere alla fecondazione assistita - con donazione di seme maschile - per generare prole con la partner o tramite maternità surrogata (come peraltro già accade con altri procedimenti). Questa procedura è sottoposta a una speciale autorizzazione in Gran Bretagna e completamente libera negli Usa. Non tutto comunque è ancora perfettamente testato.
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E Telfer prevede di provare la tecnica sulle pecore per verificare che la gravidanza sia regolare e la prole nasca sana. Secondo ginecologi non coinvolti nello studio, questo risultato può avvantaggiare anche donne malate di tumore alle ovaie e potrebbe permettere di congelare parti di ovaia invece dei gameti (considerando che una piccola porzione dell'organo può fornire 100 ovuli). Restano le questioni legate all'utilizzo primario per cui la ricerca è stata condotta. Se infatti si va incontro a un'esigenza fortemente sentita di alcuni, il rischio è anche quello di incentivare la pratica dell'utero in affitto. Specifiche regolazioni potrebbero dunque essere opportune.
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