Elena Meli per "www.corriere.it"
La grande epidemia
diabete
Il diabete è un’emergenza globale. Ha numeri da capogiro e per il prossimo futuro le cose sembrano poter solo peggiorare. L’International Diabetes Federation stima una marcia della malattia al ritmo di 21mila nuove diagnosi al giorno nel mondo: oggi i diabetici sono 415 milioni, fra 20 anni saranno 650 milioni.
Nel nostro Paese si prevede un incremento del 35-40%: già oggi i malati sono circa 4 milioni. Eppure un argine ci sarebbe: prevenire il diabete, almeno quello di tipo 2, è possibile e durante l’ultimo congresso dell’American Diabetes Association (Ada) moltissimi studi hanno dimostrato che le strategie non mancano.
diabete
Sensibilità all’insulina
Sta tutto nello stile di vita: il diabete di tipo 2 si sviluppa infatti quando l’organismo perde la sensibilità all’insulina, l’ormone che regola l’assorbimento e l’utilizzo del glucosio, e questo accade più spesso se le cattive abitudini portano ad accumulare grasso o ad avere sempre in circolo una gran quantità di zuccheri da gestire.
Così la prevenzione è un percorso che inizia fin dalla gravidanza: dati raccolti su oltre 73mila nascite dimostrano che se la mamma ha sofferto di diabete gestazionale (l’incremento della glicemia che compare in gravidanza e riguarda fino al 7-8% delle future mamme) il rischio che il figlio prima o poi si ammali di diabete raddoppia.
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Basta peraltro anche solo che la mamma accumuli troppi chili durante l’attesa, senza quindi neppure avere valori sballati di glicemia, perché la probabilità di diabete di tipo 2 della prole salga del 40%, fino a triplicare in caso di franca obesità materna.
Mantenere il peso forma in gravidanza con un’alimentazione sana e una giusta dose di movimento è quindi essenziale: due regole che poi vanno messe in pratica anche nei figli e fin da piccolissimi, perché purtroppo il diabete di tipo 2 non risparmia più neppure i bambini. Un tempo era un problema «da anziani», che si sviluppava in chi aveva avuto per decenni cattive abitudini.
bambini a rischio 1
Giovanissimi a rischio
«Ora - spiega Francesco Giorgino, docente di endocrinologia e malattie metaboliche all’Università di Bari - dati Usa mostrano che dall’inizio degli anni 2000 a oggi la prevalenza del diabete di tipo 2 in ragazzi fra i 10 e i 19 anni è cresciuta del 7% l’anno. L’International Diabetes Federation ha stimato che i giovani fra i 20 e i 40 anni con diabete di tipo 2, che erano l’11% del totale dei pazienti nel 2000, sono diventati il 16% nel 2013.
bambini a rischio
L’epidemia di diabete sta perciò dilagando anche e soprattutto fra i giovanissimi, con conseguenze devastanti non solo perché convivere decenni con la glicemia alta aumenta il pericolo di problemi cardiovascolari e complicanze, ma anche perché sappiamo che quando la malattia compare in giovane età è più aggressiva e difficile da tenere sotto controllo».
Lo ha confermato lo studio Today2 dei National Institute of Health statunitensi, discusso durante il congresso Ada e condotto su adolescenti con diabete di tipo 2 seguiti per circa 15 anni: ammalarsi di diabete da ragazzini significa ritrovarsi già a 25 anni con il colesterolo e la pressione alti, ma soprattutto in un caso su due con complicanze serie come la retinopatia e nel 40% dei casi con disturbi renali.
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I bambini italiani
In Italia i dati sul diabete di tipo 2 giovanile sono per ora meno allarmanti ma il futuro non è roseo, visto che sovrappeso e obesità sono il principale fattore di rischio e i bambini italiani sono fra i più cicciottelli d’Europa (il 24% è sovrappeso, con punte di uno su tre al Sud).
«Se si acquisiscono da piccoli tante brutte abitudini poi è molto difficile scrollarsele di dosso - osserva Giorgino -. Un errore molto comune, per esempio, è portare a scuola merende ipercaloriche e pesanti, magari per compensare una colazione inadeguata o addirittura saltata del tutto; oppure fare un pranzo troppo leggero, per esempio perché non piacciono i cibi proposti alla mensa scolastica, per poi abbuffarsi alla sera quando poi non c’è la possibilità di consumare le calorie di troppo.
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Nei più piccoli capita spesso che la dieta sia sbilanciata verso i cibi di origine animale, dai salumi ai formaggi, e troppo ricca di carboidrati da pane, pasta e patate anziché dai vegetali e da cereali integrali; nei ragazzini un po’ più grandi un errore tipico è concedersi snack quando non è necessario, per esempio mentre si gioca al computer o si guarda una serie TV, o fare lo spuntino prima di andare a dormire accumulando calorie che non si smaltiscono.
mantenere peso forma
Infine, i giovanissimi italiani sono sedentari: l’ultimo rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità ha sottolineato che 1 bambino su 4 dedica almeno un’ora a giochi di movimento al massimo un giorno a settimana e che meno del 10% degli adolescenti raggiunge le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità in termini di esercizio fisico (un’ora al giorno di gioco libero, sport o movimento, ndr)».
Mantenere il peso forma
L’attività fisica e la dieta sana sono la chiave per prevenire il diabete anche dopo, nel resto della vita, e il fulcro di tutto è mantenere il peso forma: lo studio internazionale Preview ha per esempio dimostrato che in chi è un po’ in carne e ad alto rischio di diabete perdere circa l’8% del proprio peso riduce ad appena il 4% la probabilità di ammalarsi nei tre anni successivi.
obesi
«Abbiamo confrontato una dieta ad alto contenuto proteico e basso indice glicemico (tipico di cibi che non danno picchi di glicemia rapidi ed elevati dannosi per il metabolismo, come i dolci o i carboidrati raffinati, ma che vengono assorbiti lentamente e contribuiscono a mantenere la glicemia stabile come i vegetali o i cereali integrali, ndr) con una dimagrante ma che conteneva proteine in moderata quantità e cibi di indice glicemico medio; quindi, abbiamo valutato se fosse meglio un’attività fisica ad alta intensità per poco tempo o una di livello moderato protratta a lungo.
grassi idrogenati
Pensavamo di trovare differenze, invece quel che conta è perdere il peso di troppo, non importa come: un’iniziale dimagrimento repentino grazie a una dieta ipocalorica, seguita da un programma di mantenimento, sembra la ricetta più efficace», sottolinea il coordinatore della ricerca, il fisiologo Ian Macdonald dell’università di Nottingham, in Inghilterra.
Iniziare i pasti con la verdura
Per l’attività fisica, gli esperti confermano il «dosaggio» raccomandato dall’Oms che negli adulti consiglia un minimo di 150 minuti a settimana di movimento moderato o intenso; quanto all’alimentazione, gli adulti dovrebbero soprattutto puntare sul verde, visto che un’indagine su oltre 2700 persone seguite per oltre 20 anni ha dimostrato che aumentare il consumo di frutta, verdura, cereali integrali, frutta a guscio e olio d’oliva riduce del 60% il rischio di diabete rispetto a chi non mangia molti cibi di origine vegetale.
iniziare i pasti con verdura
E non solo per evitare di dimenticarle, le verdure dovrebbero essere il primo piatto da mangiare quando ci si siede a tavola: uno studio del Singapore Institute of Clinical Sciences dimostra che iniziare ogni pasto con insalata, pomodori e simili anziché con i carboidrati da pasta o riso consente di ridurre il picco di glicemia dopo pranzo e cena, che se è troppo alto causa di uno stress metabolico tale da favorire, alla lunga, la comparsa del diabete.
Quando servono i farmaci
È stato stimato che il diabete di tipo 2 tuttora accorci la vita di circa tre anni e riduca gli anni passati in buona salute: chi si ammala deve affrontare disabilità che incidono sulla qualità di vita in media nove anni prima di chi non ha problemi di glicemia.
grassi cattivi
Per scongiurare guai occorre tenere sotto controllo la patologia seguendo le stesse indicazioni sullo stile di vita che servono per tenerla alla larga: dimagrire grazie a dieta sana e movimento è il primo passo. In molti casi adottare buone abitudini basta a riportare la glicemia nella norma, altrimenti servono i farmaci: le linee guida più recenti, approvate sia dall’ADA sia dall’European Association for the Study of Diabetes, prevedono che si parta dagli ipoglicemizzanti orali come la metformina, sicura e ben tollerata, ma che si passi a principi attivi che possono ridurre il rischio cardiovascolare se si è già avuto un infarto o un ictus.
farmaci
Cuore, vasi e reni sono infatti fra gli organi più esposti alle conseguenze di un diabete fuori controllo, tanto che circa un diabetico su quattro ha già un problema cardiovascolare in atto e proprio infarti e ictus sono fra i maggiori responsabili del «taglio» di anni di vita nei diabetici.
Le nuove terapie
La buona notizia è che oggi esistono farmaci per il diabete con «effetti collaterali» positivi, perché per esempio consentono di perdere peso o riducono il rischio di infarti, ictus e insufficienza renale: da qualche anno infatti, dopo la scoperta che l’antidiabetico rosiglitazone poteva danneggiare il cuore, è diventato obbligatorio studiare le conseguenze dei nuovi farmaci sul rischio cardiovascolare e da queste indagini stanno emergendo sorprese interessanti.
insulina
I farmaci con più solide evidenze di riduzione del pericolo di ulteriori infarti e ictus, di mortalità e di ricovero sono alcuni inibitori SGLT-2 e agonisti del recettore GLP-1: durante il congresso statunitense sono stati presentati dati che mostrano come per esempio canaglifozin, un inibitore SGLT-2, protegga cuore e reni nei diabetici coi reni già malmessi; semaglutide, un agonista GLP-1 che si può prendere per bocca, ha dimostrato di poter ridurre la probabilità di infarti e ictus in chi ha già problemi cardiovascolari; dapaglifozin, inibitore SGLT-2, e dulaglutide, un altro agonista GLP-1, sono entrambi capaci di diminuire l’evenienza di dialisi o trapianto nei diabetici che hanno già una malattia renale.
Prevenire infarti e ictus
infarto
E proprio dulaglutide potrebbe far cambiare le linee guida per il trattamento del diabete, in un prossimo futuro, perché si è scoperto che può prevenire infarti e ictus anche in chi non ne ha già avuti: un’iniezione alla settimana riduce del 12% il pericolo di malattie cardiovascolari indipendentemente dal grado di rischio, stando a dati raccolti su circa 10mila pazienti seguiti per cinque anni.
Commenta Enzo Bonora, docente di endocrinologia e malattie metaboliche dell’università di Verona: «I dati sono interessanti perché i pazienti studiati sono molto simili a quelli che vediamo quotidianamente nei nostri ambulatori: hanno una malattia che dura da una decina di anni, un controllo della glicemia di livello medio e hanno già avuto problemi cardiovascolari in circa il 30 per cento dei casi.
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Dulaglutide ha un elevato profilo di sicurezza, riduce la glicemia e anche il peso; questi buoni risultati di prevenzione cardiovascolare su tutti i pazienti potrebbero aprire la strada a una modifica delle linee guida, che ora consigliano di dare farmaci che proteggono il cuore solo se già si sono avuti infarti o ictus. Ogni anno in Italia 50mila diabetici vanno incontro a un infarto, altri 50mila a un ictus: utilizzando dulaglutide in tutti coloro che ne avrebbero bisogno potremmo risparmiare oltre 13mila eventi cardiovascolari l’anno».
terapie
Va detto che oggi pure chi dovrebbe avere di diritto la prescrizione di un antidiabetico proteggi-cuore non la riceve: il 20-25% dei pazienti ha già una patologia cardiovascolare ma appena il 10% è in cura con gli agonisti GLP-1 e solo il 10% con uno dei farmaci più nuovi in generale, per i quali serve un piano terapeutico stilato da un centro diabetologico.
Chi è destinato a diventare diabetico?
Sono dieci milioni gli italiani con il pre-diabete. Hanno già una ridotta tolleranza al glucosio e la glicemia un po’ sopra la norma a digiuno (cioè fra 100 e 125 milligrammi per decilitro di sangue, limite oltre il quale si fa diagnosi di diabete); di questi oltre due milioni sono ad altissimo rischio, per esempio perché obesi, e destinati a diventare diabetici in un caso su cinque entro cinque anni se non faranno nulla per evitarlo.
vaccini
Uno dei più lunghi studi condotti sui pre-diabetici però ha appena sottolineato che è possibile non cadere nella trappola, anche per chi è a un passo dal baratro e non è più neppure giovanissimo: un gruppo di ricercatori svedesi e cinesi, dopo aver seguito per dodici anni un migliaio di ultrasessantenni pre-diabetici, ha scoperto che il 22 per cento torna a livelli di glicemia normali, il 42 per cento resta stabile e soltanto il 13 per cento sviluppa il diabete (c’è anche un 23 per cento di decessi, ma dovuti ad altri motivi).
Cambiare stile di vita
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Come sia accaduto lo spiega il coordinatore della ricerca, Weili Xu del Karolinska Institute di Stoccolma: «I fattori maggiormente associati a un ritorno nella norma della glicemia sono tre: la riduzione del peso, la diminuzione della pressione arteriosa e aver mantenuto un cuore sano, senza malattie cardiovascolari concomitanti. La perdita di peso può migliorare la sensibilità all’insulina, il controllo della pressione aiuta ad abbassare gli zuccheri nel sangue.
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Al contrario, chi all’inizio dell’indagine era obeso ha registrato un rischio tre volte più alto di andare incontro al diabete». Impedire che i pazienti con una ridotta tolleranza al glucosio progrediscano verso il diabete significa ridurre del 69 per cento la probabilità di andare incontro a malattie cardiovascolari e tagliare del 150 per cento quella di problemi microvascolari, per esempio i disturbi renali o la retinopatia, nell’arco di ben trent’anni: lo dimostrano i dati del Da Qing Diabetes Prevention Study condotto in Cina a partire dal 1986, secondo cui ritardare di almeno sei anni il passaggio da pre-diabete a diabete comporta un «risparmio» di complicanze anche a distanza di tre decenni. Per scongiurarlo serve cambiare stile di vita, dimagrire, muoversi.
I farmaci non fanno tornare indietro
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Non c’è invece una pillola magica per riuscirci e se mai qualcuno avesse ancora la speranza di poter «tornare indietro» e impedire lo sviluppo del diabete coi farmaci, lo studio RISE presentato al congresso dell’American Diabetes Association ha contribuito a togliere di mezzo ogni illusione: i dati, raccolti su giovani e adulti con pre-diabete o con una diagnosi molto recente di diabete di tipo 2, mostrano che i medicinali (metformina, insulina, metformina combinata a un agonista GLP-1) non cambiano il destino delle beta-cellule del pancreas che producono insulina.
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Negli adulti la funzione delle cellule resta buona finché si prendono i farmaci, ma appena si sospendono ogni beneficio scompare e la marcia verso il diabete riprende; nei giovani il vantaggio non c’è neppure durante il trattamento.
Integratori e vaccini per il diabete tipo 1
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E il diabete di tipo 1 si può prevenire? Per il momento non ci sono certezze anche perché si tratta di tutt’altra malattia, in cui il sistema immunitario attacca e distrugge le cellule del pancreas che producono insulina lasciando sprovvisti dell’ormone per gestire gli zuccheri nel sangue. Compare spesso da bambini o in età giovanile e sulla probabilità incidono fattori genetici, immunitari e ambientali, così per esempio sono considerati ad alto rischio i bimbi che hanno fratelli o genitori malati. Proteggere almeno loro è possibile?
A San Francisco si è parlato di un’immunoterapia specifica con un anticorpo monoclonale, che ridurrebbe del 59% il rischio spostando anche due anni più avanti l’esordio della malattia: in realtà i pazienti coinvolti sono pochissimi (76, di cui solo 44 trattati) e non mancano possibili effetti collaterali, fra cui una depressione della risposta immunitaria che potrebbe aumentare il pericolo di infezioni e altre malattie.
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Inoltre, uno studio che ha valutato circa 1,5 milioni di bimbi ha suggerito che il vaccino contro il rotavirus possa ridurre di un terzo il pericolo di ammalarsi, ma non è sicuro che i virus possano davvero innescare la comparsa del diabete in soggetti predisposti (e scansare tutti i virus non pare fattibile).
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Serve però evitare l’obesità, perché sempre più dati indicano che può favorire anche il deragliamento della risposta immunitaria e quindi il diabete di tipo 1. Poco si sa pure su come rallentarlo, o magari bloccarlo, una volta diagnosticato: un aiuto potrebbe venire dagli acidi grassi omega-3 e dalla vitamina D, che spesso sono carenti nei pazienti a fronte di un eccesso di omega-6.
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