Chiara Baldi per “la Stampa”
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«Insulsa», «incapace», «inetta». E ancora: «Torna a fare la casalinga», «stai meglio in cucina che dietro una scrivania», «lascia lavorare chi sa farlo». Sono questi gli insulti che professioniste di vari settori - dal giornalismo alla giurisprudenza, passando per la medicina e le professioni sanitarie - si sentono rivolgere ogni giorno sui social. L' analisi, spietata, delle offese in 280 caratteri, è stata fatta da Vox - Osservatorio Italiano sui Diritti, con l' Università Statale di Milano, quella di Bari, La Sapienza di Roma e It' Stime della Cattolica di Milano in occasione della quinta edizione della «Mappa dell' Intolleranza», da cui emerge un'Italia «twittarola» ancora troppo aggressiva.
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Soprattutto verso le donne. «Non vengono offese solo per il loro aspetto fisico, ma anche per le loro competenze lavorative, e questa è la triste una novità di quest' anno», spiega Silvia Brena, giornalista e fondatrice di Vox. «Ai mai taciuti "cicciona", "troia", "puttana", si sono aggiunti epiteti che avevano come unico obiettivo quello di sminuire la professionalità della lavoratrice.
E le più colpite sono le giornaliste, soprattutto quelle in prima linea in ambiti riconosciuti come "di competenza maschile": vengono insultate le inviate di guerra, le croniste che si occupano di criminalità organizzata, chi, insomma, sta "sul campo"». Un odio che aumenta all' aumentare delle rivendicazioni femminili: «Nell' ultimo anno sui social è nata una forma di protesta molto accesa verso tutte quelle manifestazioni pubbliche che vedevano la partecipazione di soli uomini, come a lasciar intendere che fossero gli unici dotati di competenze specifiche.
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Sono i cosiddetti "manel", cioè i panel al maschile. I social network sono stati una platea importantissima per denunciare questa brutta pratica e più aumentavano le denunce da parte di professioniste che rivendicavano la partecipazione a tali convegni, tanto più arrivavano insulti». Insomma, le donne non devono rivendicare spazi, se non vogliono essere insultate: una «contronarrazione» non è ancora tollerata.
Degli oltre 506.700 tweet analizzati e destinati al mondo femminile tra marzo e settembre del 2020, la metà conteneva un insulto: Nord Italia, Lazio, Campania e Puglia le regioni più attive nell' odiare le donne. Ma i sociologi che hanno redatto la «Mappa» hanno notato una corrispondenza importante: «Il sessismo online è iper aggressivo e ha a che fare con il tema dei femminicidi e con quello della violenza fisica.
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Per cui ogni volta che si agita questo sciame digitale è perché c' è stato un fatto di cronaca che ha visto una donna come vittima», spiegano. «C' è quindi una corrispondenza diretta tra l' hate speech e l' hate crime, come se il linguaggio d' odio sui social network legittimasse l' azione».
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Eppure, l' Italia della «Mappa» non odia solo le donne. Al secondo posto, con un tasso di negatività nei cinguettii del 18,45 per cento sul totale di 1304537 tweet presi in esame, ci sono gli ebrei, vittime di una «tendenza ascensionale che è passata dal 2,2 per cento del 2016 ai dati attuali». Due gli eventi che hanno scatenato il peggior disprezzo della comunità ebraica: il 25 Aprile e il compleanno della senatrice a vita Liliana Segre. Ci sono poi musulmani e migranti. Mentre è lievemente migliorata la condizione di disabili e omosessuali. La strada verso il rispetto, però, è lunga.
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