Emanuela Audisio per il Venerdì-la Repubblica
valdano
SOPRANNOMINATO El Poeta. «Quando incontro vecchi compagni, tutti mi ricordano con un libro in mano. Era strano che un calciatore leggesse».
Jorge Valdano, 65 anni, nato a Las Parejas, Santa Fe, però è molte altre cose: ex attaccante, ala sinistra, campione del mondo nell' 86 con l' Argentina di Maradona, ex allenatore, ex dirigente calcistico (Real Madrid), scrittore, commentatore (ha una rubrica su El Pais). Ma soprattutto uomo insolito, molto fuori dal coro, capace come dice lui «di allargare il paesaggio». Celebre il suo diverbio in campo con Cruyff, già un dio del pallone, mentre lui era solo una promessa. Non abituato ad essere contraddetto Cruyff gli chiede: «E tu come ti chiami?». «Jorge Valdano». «E quanti anni hai?». «Ventuno». «Ragazzino, a ventuno anni a Cruyff si dà del lei».
Valdano pensa, interpreta, scrive libri, gioca con i piedi e con la testa. «Ho appena finito una video-conferenza con i media dell' Argentina. La famiglia di Roberto Santoro, uno scrittore assassinato dalla dittatura, mi regalò Literatura de la pelota, un libro che mostra come nel calcio ci siano poesia, tango, narrativa. Cominciai a leggere Triunfo, la rivista di Montalbán, scoprendo che il pallone è metafora e rappresentazione del potere. Giocare iniziò a essere diverso.
una domenica senza calcio foto mezzelani gmt20
Da quel momento non fu più un' espressione animalesca: vai in campo e diverti il pubblico. Iniziai a sentirmi rappresentante di qualcosa di più profondo, di politico». Spesso uomo contro, Valdano si è espresso contro l' immediata riapertura del calcio nel 2001 (Torri Gemelle) e nel 2004 (attentato a Madrid):
«Più volte lo sport è stato costretto a mascherarsi, a farsi divorare dalla fretta, come se il suo compito fosse quello di far dimenticare l' orribile straordinarietà di un evento drammatico. Ma cosa può interessare del risultato di una partita quando ci sono ancora corpi da seppellire? Bisogna far finta di divertirsi con il pallone? Io lo trovo imbarazzante». E ora in tutto il mondo c' è la difficile ripresa dopo il virus e la convivenza con un contagio che impedisce contatti.
Valdano, come si salva oggi il calcio?
«Il futbol ha la resistenza di una malerba, sopravviverà. È vero, ha mostrato una vulnerabilità, ma la sua capacità di seduzione resterà com' era prima. Però il virus lo ha contaminato, lo ha reso più fragile, lo ha fatto riflettere. Non ci sarà calo del desiderio, ma una convalescenza è inevitabile, come anche una minor passione consumistica».
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Niente ripartenza con fuochi d' artificio?
«Non credo. C' è stata negli ultimi anni una rivoluzione nel calcio che ha portato i prezzi a triplicarsi: abbonamenti, contratti, ingaggi, diritti tv. Sono arrivati i presidenti e i gruppi miliardari, quelli del colpo grosso, è stata una corsa continua al rialzo, a chi offriva di più. L' afflusso di soldi ha provocato un cambiamento, ma chi ne ha tratto vantaggio? Non il calcio. Il denaro non porta più talento, né innaffia la genialità. Non c' è questo automatismo.
Gli unici ad aver guadagnato da questo giro capitalistico sono stati i giocatori e forse anche i procuratori. Ma ora tutto cambia, le società per necessità dovranno decelerare, il pallone ha dovuto accorgersi che non è più impermeabile e che non si perde solo in campo».
Niente più calcio come kolossal?
«Non subito. È un calcio ferito, perplesso, anche se con voglia di riprendere a stare bene. Ma l' atmosfera scintillante è svanita, un altro affare Neymar che nel 2017 passò dal Barcellona al Psg per 220 milioni di euro è impensabile.
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Non solo per i soldi, ma anche per il botto mediatico, l' aria frizzante non c' è più. Il gioco è fermo, e il calcio è azione, non è nella sua natura l' immobilità. Il pallone non perderà la sua forza simbolica e culturale, ma le nuove condizioni economiche porteranno a farsi qualche domanda in più. Anche se non mi illudo: non ne usciremo tutti più buoni e più santi e con nuovi valori».
C' è stata una forte spinta per far ripartire l' industria, ma anche il calcio lo è.
«È un gioco dall' impatto emotivo enorme, che segna le nostre vite, ma è anche una forza economica. E le sue due nature nel nostro immaginario non sono equilibrate. Se Messi si taglia lo stipendio è un eroe, se lo fa un alto dirigente è un atto dovuto. I calciatori sono privilegiati che vogliono continuare a divertirsi con il loro gioco o sono specialisti di un settore che deve tornare a produrre? La controversia è questa. Mettiamo anche che certi loro atteggiamenti hanno indispettito il pubblico».
Allude alle foto sui social?
isole faroe calcio
«Molti di loro, a livello di comunicazione, non hanno capito la gravità del momento. Ci voleva discrezione, non esibizionismo. Certi stili di vita, case, spiagge, barche, in un momento in cui il resto del mondo soffre, è meglio non ostentarli. La gente si è sentita più vicina ai giocatori, colpiti dal virus, piuttosto che identificarsi con i campioni.
Calciatori come Dybala, che sono risultati positivi e hanno affrontato la quarantena, hanno smesso di essere star famose per diventare persone come tutti noi. Il virus ha favorito un certo patriottismo, ha evidenziato la solidarietà per debolezze e fragilità, per le vittime e non per chi mostrava i muscoli. A contare era il sentimento di volere stare tutti dalla stessa parte contro il contagio».
Come se l' immagina il calcio prossimo venturo?
«Silenziato. A porte chiuse. Posticcio. Ho letto che in Germania c' è l' idea di mettere uno schermo gigante nel parcheggio dello stadio, una specie di drive-in dove i tifosi ognuno nella propria auto possano seguire le partite. O che in qualche stadio gli abbonati saranno sostituiti da sagome di cartone con il loro nome. Il calcio ha bisogno di voci, di cori, di pubblico. Non è solo coreografia, ma anche orchestra.
calcio allenamenti
È quel rumore che influenza il gioco. La partita ha bisogno di una colonna sonora. I giocatori si muovono per schemi, ma la loro aggressività è favorita da quello che sentono, è il pubblico che ti dà l' adrenalina, quasi fosse un controllo remoto umano. E quello mancherà anche agli allenatori. Sarà un calcio un po' artificiale, dal suono metallico, con un altro respiro».
Arriverà l' estate.
«Io credo ci sarà una lunga primavera. Il nostro riavvicinamento e totale abbandono al pallone non sarà improvviso, ci vorrà del tempo per riscoprirsi tribù, anche se ora abbiamo un' enorme nostalgia di quella tribù e dei suoi riti. Lo dice uno che crede si possa vivere senza calcio, solo che si vive peggio. Ho sempre preferito gli allenatori che ti chiedono non di tirare fuori gli attributi, ma i tuoi sogni. Il calcio è la nostra socialità, non è fatto per dimenticare, ma per ricordare. È a disagio nella paralisi, ha bisogno di movimento, di azione, di bellezza.
Quando ritroverà questa dinamica vorrà dire che avremo scartato la paura. E che saremo di nuovo tutti pronti a scioglierci nella libertà di un' emozione».
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