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    VASCO MEMORIES - "QUANDO SONO ANDATO A MODENA, IN COLLEGIO, A 13 ANNI, ERO 'IL MONTANARO', QUELLO DI SERIE B, CHE “VENIVA GIÙ CON LA PIENA”. L’ESCLUSIONE L’HO PROVATA SULLA MIA PELLE. HO SOFFERTO MOLTISSIMO'' – L’USIGNOLO D’ORO, LA CELEBRITA’, GLI STADI (“MI PIACEREBBE FARE COME SPRINGSTEEN E DE GREGORI: CANTARE IN PICCOLI TEATRI”) – "IL VERO LUSSO? ANDARE AL SUPERMERCATO" – VIDEO


     
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    Luca Valtorta per Robinson-la Repubblica

     

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    È polvere. Rossa e gialla. E poi cuori, mezzelune. Stelle. Dentro un piccolo tubo trasparente di plexiglass, dall' alto cadono lentamente verso il basso. Prima i frammenti colorati, che scendono a spirale senza mescolarsi gli uni con gli altri, poi le piccole sagome glitterate. Lui la tiene in mano, se la mette dietro la testa, ci gioca. Vasco, che cos' è questa cosa? «Questa? Beh, è una bacchetta magica!». Siamo a Bologna, nello studio dove Vasco Rossi incontra periodicamente il suo gruppo di lavoro. Tra poco ci sono sei stadi già esauriti a Milano e due a Cagliari che aspettano e le cose a cui pensare sono tante. Lui però è tranquillo.

     

    Anzi, sembra davvero felice. È appena rientrato da Los Angeles: «Sono tornato apposta per voi di Repubblica Robinson » , ride, cercando di farci sentire un po' in colpa. Non fumerà mai, neanche una sigaretta. Ma è sempre Vasco.

     

    Perché proprio Los Angeles?

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    «Sono stato lì quasi un mese e mezzo perché era importante fare un po' di vacanza da Vasco Rossi».

     

    Bello?

    «Faceva freddo e ha quasi sempre piovuto. Ci vado perché di solito fa caldo e perché qui in Italia non posso uscire».

     

    Quindi la cosa più bella per te è... andare al supermarket?

    «Esatto. Mi piace un casino andare al supermarket: scegliere le cose, toccarle. Per me, oltre a quello, andare al cinema e andare a cena sono dei veri lussi».

     

    Avere gli occhi della gente puntati addosso non è piacevole?

    «Magari all' inizio sì, i primi anni. Ma poi ti dà un po' di ansia: ti senti sempre osservato e ogni persona che vedi sai che può dirti qualcosa, che va benissimo, però prova a immaginare  una situazione così a ciclo continuo. Il bello del successo è che ti conferma che quello che fai vale. All’inizio cerchi anche la celebrità, perché quando non la si ha si pensa che sia fantastica, come una giostra. Solo che quando la giostra non si ferma più ti viene la nausea, impazzisci».

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    C’era un periodo in cui dicevi di voler tornare a essere un artista di nicchia e oggi pare sia un po’ nell’aria: Francesco De Gregori ha fatto venti date in un teatro di 230 persone. A te piacerebbe?

    «Guarda, quella cosa lì per un artista è fantastica e anche io lo desidererei. Anche Bruce Springsteen la sta facendo. Sia chiaro, fare gli stadi mi piace ma mi piacerebbe anche poter tornare a quella dimensione».

     

    Sarebbe stato bello vederti cantare “Generale” ospite da De Gregori.

    «Sarebbe stato bellissimo. Ecco, questo è uno dei motivi per cui mi piacerebbe abitare a Roma o a Milano: puoi fare cose così e poi torni a casa. Invece io devo prendere la macchina, andare, fermarmi in hotel: io soprattutto odio andare nello stupido hotel perché non posso uscire!».

     

    Sei volte San Siro… Credo non abbia un precedente nella storia: neanche i Beatles hanno riempito sei stadi di fila della stessa città.

    «Penso sia dovuto al fatto che io racconto un po’ quello che il mio pubblico ha dentro in maniera sincera, onesta e anche spudorata se vuoi: debolezze, frustrazioni… c’è qualcosa che condividi. Non è “mal comune mezzo gaudio”: è che se una debolezza pensi di averla solo tu soffri moltissimo perché ti senti solo. E anche sbagliato».

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    “Mi si escludeva”, per citare Vasco.

    «Certo. Ho scritto quella canzone perché l’esclusione l’ho provata sulla mia pelle. Io ho sofferto moltissimo questa sensazione, forse anche perché quando sono andato a Modena in collegio a 13 anni ero considerato “il montanaro”, quello di serie B, che “veniva giù con la piena”».

     

    Ma come mai in collegio?

    «Perché a Zocca dopo le medie non c’erano più scuole. Addirittura, qualche anno prima di me, per far studiare i bambini li si mandava in seminario. Io invece sono finito dai salesiani, quelli con le camerate gigantesche dove ti svegliavano alle sette con il battito di mani; se non ti svegliavi davano delle botte sulla testata di ferro del letto che ti faceva tremare tutta la testa: un freddo cane, ti alzavi e ti lavavi con l’acqua gelata perché quella calda non c’era, poi la preghierina al mattino, quella alla sera…

    vasco rossi la verita' 9 vasco rossi la verita' 9

     

    Cinque ore di studio anche al pomeriggio, davanti al prete, in silenzio, poi mezz’ora di ricreazione in cortile dove mi ricordo che si giocavano tre o quattro partite contemporaneamente, con quattro palloni: un casino d’inferno! Non so neanche come cazzo facessero: io non giocavo. Il calcio non mi piaceva, preferivo il biliardino. Alla fine due fischi: tutti in fila in ordine d’altezza. Un fischio ancora: silenzio totale. Se tu stavi dicendo a qualcuno: “Ehilà!” mentre fischiavano dovevi andare in punizione. Quando mangiavamo invece avevano i campanelli. Il prete, a un certo punto, faceva “ping!” e tutti dovevano stare zitti. Chiaramente c’era sempre qualcuno che stava gridando e così anche lì finivi di nuovo in punizione».

     

    In che cosa consisteva la punizione?

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    «Bisognava andare davanti all’ufficio del prete-preside e aspettare che venisse a farti la ramanzina. Gli altri, intanto, alle nove di sera erano tutti a letto. Io in quel periodo mi ero totalmente chiuso, non mi sono fatto neanche un amico nuovo. Per fortuna c’era un ragazzo che conoscevo, anche lui di Zocca, e Sergio Silvestri, con cui suonavo la chitarra. Quella è stata la mia salvezza: ci lasciavano due volte la settimana un paio d’ore per esercitarci, a me e Silvestri».

     

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    Quindi è così che hai imparato a suonare la chitarra?

    «No, andavo già da un maestro. La prima volta che sono arrivato giù in città è stato perché avevo vinto un concorso di voci nuove, si chiamava l’Usignolo d’Oro».

     

    E cosa accadde nella finale?

    «Quando ho vinto sono rimasto allibito anche perché c’era stata una ragazzina, prima di me, molto brava, che aveva preso 95 voti su 100, quasi il massimo quindi. La giuria era fatta di bambini che con le palette davano i voti da 0 a 10. Mi dicevo: “È chiaro che ha già vinto lei”. Ho cantato la mia canzone e mentre uscivo di scena, però, sentivo i voti: “10, 10, 10, 10!”’. Alla fine è stato 100 “ “ su 100!».

    VASCO VASCO

     

     

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