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    VE LO RICORDATE? ERA UN PORTIERE “CLOWN” CON BAFFONI ALLA FREDDIE MERCURY, OGGI AL ‘GUARDIAN’ RIVELA DI QUANDO FU ARRUOLATO NELL'ESERCITO DEL SUO PAESE NATALE (L' ATTUALE ZIMBABWE): "HO UCCISO E TANTO. NON POSSO DIRE QUANTE VITTIME HO FATTO. RICORDO DI UN COMPAGNO CHE TAGLIAVA LE ORECCHIE A OGNI UOMO CHE AMMAZZAVA E LE METTEVA IN UN VASO. IL CALCIO MI HA SALVATO”. DI CHI SI TRATTA? – VIDEO


     
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    Cristiano Corbo per la Gazzetta dello Sport

     

    Nel 1984, durante la finale di Coppa Campioni contro la Roma, Bruce Grobbelaar passò alla storia per uno strano balletto sulla linea di porta. Pazzesco ma vero: prima ipnotizzò Bruno Conti, quindi Ciccio Graziani.

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    Oggi, a distanza di 34 anni, mettendo insieme i ricordi di una vita le gambe iniziano a tremare. Stavolta sul serio.

     

    «Ho rischiato la depressione, il calcio mi ha salvato», ha raccontato l' ex portiere al The Guardian. Il riferimento è al 1975, quando Bruce fu arruolato nell' esercito del suo Paese natale (l' attuale Zimbabwe) per la guerra civile di Rhodesia.

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    «Quanti uomini ho ucciso?

    Non posso dirlo. Sono tanti.

    Anche per questo ho vissuto la vita giorno dopo giorno».

    Grobbelaar lasciò le forze armate nel 1979, anno in cui approdò in Canada ai Vancouver Whitecap. Da lì il passaggio al Liverpool, con cui si laureò campione d' Europa all' Olimpico di Roma e in totale ottenne 6 Premier League e 3 Coppe d' Inghilterra.

     

    LE TRAGEDIE In maglia Reds visse anche le tragedie dell' Heysel e di Hillsborough, definite ancor più devastanti per l' impatto che ebbero sulla squadra e il tremendo magone dei giorni immediatamente successivi. Il senso d' impotenza, in fondo, in una guerra non può esistere: «Non riesci a riconoscere granché finché non vedi il bianco degli occhi dei soldati. O vivi tu, o loro. Spari, vai a terra e c' è uno scambio di proiettili. Ricordo di un compagno che tagliava le orecchie a ogni uomo che ammazzava e le metteva in un vaso...

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    La sua famiglia fu torturata e voleva vendetta», prosegue il racconto. I tifosi inglesi lo chiamavano Jungleman , l' uomo della giungla. E l' animo tormentato non c' entrava: «Dicevano che non ero bianco, che ero un nero con la pelle chiara. Il calcio mi ha davvero salvato, ha allontanato i pensieri oscuri dalla guerra». Essere ancora qui a raccontarlo, probabilmente, è la vittoria più bella. Insieme a quella notte di Roma, dove un semplice balletto si fece storia.

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    E dove un po' di sogni si tramutarono nella rivincita più incredibile sulla sorte.

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