Rita Vecchio per leggo.it
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«Lui non insegna: conversa d’infiniti mondi come se discutesse di regole del Monopoli e di come cambiarle». Roberto Vecchioni ha fatto così nella sua vita. Settantasette anni e non sentirli, un amore conteso tra i suoi studenti, la scuola, i greci e i latini, e la musica. La sua.
Ed è da professore che nel suo ultimo libro, Lezioni di volo e di atterraggio, corre sulle parole. «Scritto di getto in un mese e mezzo, durante il lockdown. Quando scrivo canzoni ci metto più tempo - spiega in una bella chiacchierata rigorosamente a distanza - È un libro in cui racconto una classe di 37 anni fa, con aneddoti veri e fatti mai accaduti, dal bar alle giornate fuori dall’aula, alle bugie su Socrate e De Andrè per vedere se ci credevano, e lezioni sui poeti oltre la poesia».
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Professore, cosa è il volo? E cosa l’atterraggio?
«Il volo è il sogno e l’atterraggio è la realtà. Non si può vivere solo dell’uno o dell’altro. Si deve sapere volare e si deve sapere atterrare. Sono due possibilità umane».
In questo momento è difficile sognare?
«Non lo è mai. Non dipende dai fatti contingenti. Dipende dal nostro modo di essere, di porsi dei limiti e di superarli».
Come si superano?
«Con la cultura. Chi non ce l’ha, è fregato».
E oggi, politica, opinione pubblica, istruzione, hanno spesso messo in mezzo la cultura: è vero che tutto questo periodo andrà a scapito dei ragazzi?
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«Assolutamente no. È bello sentire che i ragazzi abbiano l’impeto di far sapere che la scuola è importante, che vogliono tornare sui banchi, ma cosa è un anno in una vita? Ma non si devono preoccupare. C’è tempo per riprendersi sempre, non si spaventino mai. Saranno meglio di prima. Il fatto è che i giovani sono scalpitanti, per loro esiste il presente».
Le mancano i liceali?
«Tantissimo. Insegno da sedici anni all’università. Ma non è la stessa cosa. Al liceo è una battaglia, sono gli anni in cui ragazzi diventano pittori di loro stessi, ognuno nel proprio stile».
Che pensa della Didattica a distanza?
«Che siamo in una situazione di emergenza. È una brutta cosa, ma che si deve fare. Necessariamente».
La scuola oggi è in fase di volo o di atterraggio?
«Per ora è a terra proprio (ride, ndr). La scuola deve essere entrambe le cose: l’insegnamento non può portare solo lontano dal luogo comune e nemmeno nutrire di sole nozioni. La bellezza viene dalla rarità».
Per quello lei scrive che «spesso i professori raccontano più di quello che sanno»?
«Certo. È una frase vera. Pure adesso, durante la trasmissione con Gramellini, mi rendo conto di dire più di quello che so e ho pure paura di dire stronzate. Gli insegnanti devono aprire la strada della possibilità e del pensiero».
Quando racconta di Alda Merini che stonava la sua “Luci a San Siro”, sta mentendo?
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«Tutto vero. Era un tormento. Un giorno andò pure a vedere un concerto dove io non c’ero perché sbagliò teatro. Mi ricordo il suo borbottio poetico, contro le cose che andavano male, contro certe donne: lei era gelosa di tutte. Con mia moglie non è mai andata d’accordo: quella donna ti rovina, mi diceva (ride, ndr)».
Le manca la scighèra (nebbia) milanese?
«Tanto, tantissimo: è legata alla mia giovinezza, ai primi amori, ai miei inizi, alla paura di insegnare».
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Quando si è dato un 5?
«Ah, bella questa. Di 5 me ne sono dati parecchi: da vero pignolo, quando non riesco a fare qualcosa bene come avrei voluto. A scuola o ai concerti, se il pubblico non mi viene dietro, è colpa mia non del pubblico».
E un 10?
«Per sapermi emozionare su una canzone che ho cantato milioni di volte. Ma i 10 sono rari, massimo 8+».
Ultima volta?
«Agli Arcimboldi a Milano. Mi sono voltato e sono andato da un’altra parte per non far vedere le lacrime».
La regala una canzone nuova prima dell’estate?
«Le canzoni non arrivano mai sole. Sto però pensando a un lavoro musicale sul mondo classico. Invendibile, ma di grande soddisfazione. Tanto oggi chi vende dischi?».
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Ha ragione. Quindi (quando si potrà) si va in scena alla Scala?
«Magari. Sa che è sempre stato il mio sogno? Sarebbe un coronamento, varrebbe più di qualsiasi premio».
Sono passati 10 anni da “Chiamami ancora amore” a Sanremo. Ha mai pensato di tornarci?
«È stata un’esperienza unica che voglio rimanga tale. Non era il mio palco, ma mi sono trovato benissimo. La canzone era perfetta e universale. Ricordo la gente fuori, gli applausi, la commozione. È stata una gioia popolare, non si può sempre fare la spocchia, no?».
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Nel libro cita Modugno, De André…
«E li racconto ai ragazzi come se fossero stati miei grandi amici. Con Modugno, dopo un premio Tenco, abbiamo trascorso una serata intera a cantare il suo repertorio. E De André l’ho visto due volte. Chi dice di conoscerlo bene, sbaglia. L’unica che lo conosce bene è Dori. De André è un gigante».
Manca quel tipo di cantautorato?
«Manca perché i tempi erano diversi. Si indagava sul futuro. E loro erano cantori. Come Guccini, Jannacci, Gaber, Dalla. Irripetibili. Ma non ho nulla contro il rap di oggi. Non saprei dare dei nomi, ma se fatto bene è interessante. Io, però, resto amante della melodia».
E lei, in quali faccende è affaccendato nel suo prossimo futuro?
«Dovrei scrivere l’introduzione a un libro che commenterà 20 delle mie canzoni di prossima uscita. Ma è difficile scrivere su stessi. Anche perché, chi ci si crede di essere?».
alda merini ROBERTO VECCHIONI - LA VIGNETTA DI VINCINO VECCHIONI 4 VECCHIONI AD AMICI ALDA MERINI simona borioni e francesca vecchioni daria colombo e roberto vecchioni (2) roberto vecchioni claudio baglioni e roberto vecchioni roberto vecchioni paolo gentiloni