Alessandra Pacelli per “il Messaggero”
JAN FABRE
Provocatorio, ironico, visionario, ma anche estremamente lucido, coltissimo, tanto raffinato nei rimandi alla cultura fiamminga delle sue radici quanto spericolato nell' essere perfettamente calato nel nostro tempo, anzi anticipando e sopravanzando tendenze e linguaggi del contemporaneo.
Quello che viene messo in scena è il ragionare dell' artista, la sua rappresentazione della caducità della vita, del senso religioso, del divino, del peccato.
LE LOCATION Benvenuti nel fantastico mondo di Jan Fabre, artista visivo ma anche creatore teatrale, regista, coreografo, scrittore e performer, personalità tra le più interessanti del panorama dell' arte contemporanea mondiale, che a Napoli si fa letteralmente in quattro portando le sue opere in contemporanea nei luoghi più prestigiosi della città: il museo di Capodimonte, il museo d' arte contemporanea Madre, il Pio Monte della Misericordia, e la storica galleria Trisorio (Riviera di Chiaia 215), da dove venerdì sera ha preso il via una vera e propria maratona dell' arte firmata dal maestro belga.
JAN FABRE
In Omaggio a Hieronymus Bosch in Congo, a cura di Melania Rossi e Laura Trisorio (entrambe responsabili anche della rassegna al Madre), Fabre ha dipinto quadri di grandissime dimensioni utilizzando migliaia di corazze di scarabeo: sono veri e propri mosaici iridescenti, che cambiano colore col mutare della luce o del punto di osservazione, opere dalla forte capacità seduttiva che in qualche modo celebrano la crudeltà della bellezza e la bellezza della crudeltà.
JAN FABRE
L' artista, prendendo a prestito le suggestioni infernali del Giardino delle delizie di Bosch, alza il velo sulle brutalità del colonialismo belga in Congo: le scene da lui illustrate sono di fustigazioni, di uomini in schiavitù, di violenze e sopraffazioni in terra d' Africa, cui fanno da contraltare due magnifici teschi sormontati di croci, nelle incredibili tonalità del blu e del verde che solo gli esotici coleotteri possono offrire.
LE METAMORFOSI La seconda mostra si è inaugurata ieri mattina nelle sale della pinacoteca di Capodimonte.
JAN FABRE
Croci, teschi, spade, ma anche un autoritratto con una lunga lingua in fuori e rappresentazioni molto realistiche di cuori, con tanto di arterie ancora attaccate, che sembrano appena strappati da un petto squarciato. E poi il rosso del sangue di una serie di disegni, ma soprattutto il rosso brillante del corallo che l' artista ha scelto come materiale caratterizzante delle sue dieci nuove sculture, realizzate per l' occasione.
C' è tutto l' immaginario di Fabre in questa spettacolare esposizione intitolata appunto Oro rosso: il curatore Stefano Causa sottolinea quanto il maestro belga racconti una vicenda di «metamorfosi di materiali che mutano destinazione e funzione; una storia di sangue e umori corporali, inganni e trappole del senso», che lo mettono idealmente in collegamento con le nature morte dei fiamminghi del passato.
JAN FABRE
LA RINASCITA Insieme ai lavori in corallo e ai disegni, c' è anche una bella carrellata di altri oggetti e sculture: enormi scarabei dorati, minuscoli conigli in omaggio a Joseph Beuys, pappagallini, cervelli anatomici, tutti messi in dialogo con una evocativa selezione di opere della collezione permanente del museo. «Abbiamo dato vita a una mostra di particolare spiritualità ed eleganza - afferma il direttore di Capodimonte Sylvain Bellenger - Tra sangue pietrificato, lava incandescente, Vesuvio e San Gennaro, vengono affrontati tutti i grandi miti napoletani. Ci piace pensare che dagli accoppiamenti traumatici che abbiamo immaginato tra Fabre e alcuni capolavori di questa quadreria possa sortire un effetto di rinascita, che ci consenta anche di guardare il nostro museo in una luce nuova».
JAN FABRE
IL SOGNO Terza tappa al Pio Monte della Misericordia, dove l' artista ingaggia un dialogo spirituale e morale con il luogo attraverso la sua scultura in cera L' uomo che sorregge la croce, fronteggiando il massimo capolavoro di Caravaggio lì custodito. Fabre torna anche al Madre che da ieri ospita in anteprima la versione in marmo di Carrara di L' uomo che misura le nuvole, una grande scultura di 4 metri posizionata nel cortile interno del museo: è un inno alla capacità di sognare, di attraversare dimensioni spazio-temporali per affermare il potere dell' immaginazione. Un' opera che, afferma il direttore Andrea Viliani, rappresenta «un invito alla libertà, a guardare in alto, ad andare oltre i nostri limiti. Dare conto dell' imponderabile, infatti, è la vero senso del fare cultura».
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2 - CANOVA SFIDA GLI DEI
Antonio Ferrara per “Robinson - la Repubblica”
Il genio del neoclassicismo e il tempio dell' età classica si ritrovano nelle mostra Canova e l' antico aperta fino al 30 giungo al Mann, il Museo Archeologico nazionale di Napoli.
Un' esposizione-evento che riporta in Italia Le tre grazie 27 anni dopo la mostra del 1992 al Museo Correr di Venezia e quella di fine 1991 a Palazzo Ruspoli, a Roma. Il capolavoro di Canova, una delle sei sculture in prestito dall' Ermitage, è nel Salone della Meridiana del Mann, in dialogo con un affresco di Pompei ispirato allo stesso motivo, molto in voga nell' antichità. «Ma Canova - racconta Giuseppe Pavanello, curatore della mostra napoletana e tra i maggiori studiosi dell' artista veneto - usò l' antico come stimolo per creare nel segno della modernità. Nelle Grazie non c' è il ricalco dell' opera classica che prevedeva la figura centrale di schiena, come nell' affresco pompeiano: lui invece scolpisce tre fanciulle in dialogo che sussurrano tra di loro».
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Il confronto diretto tra le creazioni dell' artista di Possagno e le opere d' arte classica conservate al Mann (i pezzi della prestigiosa collezione Farnese come gli affreschi romani delle città sepolte dal Vesuvio nel 79 dopo Cristo) rendono il percorso nelle sale del museo un' esperienza unica: 110 i pezzi tra sculture, gessi, tempere da Possagno, schizzi e disegni da Bassano del Grappa. Si comincia dal grande atrio, dove Teseo vincitore del Minotauro, uno dei gessi del museo di Possagno, la prima importante opera di Canova realizzata tra 1781 e 1783, è messo a confronto con Hermes in riposo, splendido bronzo dalla Villa dei Papiri di Ercolano, e con la statuetta bronzea di Ercole Epitrapezios da Pompei. Così come la coppia di Pugilatori, sempre dalla gipsoteca di Possagno, che rimanda a uno dei capolavori dell' Archeologico, i Tirannicidi che sono esposti a pochi metri nella collezione Farnese.
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Colpisce il modellino della grande statua di re Ferdinando IV di Borbone, esposto in maniera tale che la scultura colossale del sovrano che domina lo scalone del museo si veda alle spalle.
L' opera che Canova concepì nel 1800 è stata ripulita per la mostra: se ne apprezza ora il panneggio, che richiama la statua di Eschine dalla Villa dei Papiri di Ercolano. Per Pavanello «quel Ferdinando è un capolavoro, opera per troppo tempo trascurata, rimossa dai Savoia dopo l' Unità d' Italia e tornata al suo posto solo nel 1997. È ritratto come novello Pericle di una Napoli che voleva competere con Roma come capitale dell' arte».
La presenza dello scultore a Napoli segna - come a Venezia e Roma - la sua formazione. Vi giunse il 27 gennaio 1780, a 23 anni, ne scrisse con entusiasmo: «per tutto sono situazioni di Paradiso». Il Grand Tour di Canova toccò anche i Campi Flegrei e i templi di Paestum. A Napoli l' artista restò affascinato dal Cristo velato di Giuseppe Sanmartino (confidò che avrebbe dato dieci anni della sua vita per realizzare un' opera simile).
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Tracce del soggiorno del genio di Possagno si trovano ancora in piazza del Plebiscito, dove svetta il monumento equestre di Carlo III di Borbone: il cavallo fu realizzato per una statua di Napoleone commissionata nel 1806 da Giuseppe Bonaparte re di Napoli, mentre la figura del sovrano che aveva avviato gli scavi di Ercolano nel 1738 fu collocata al suo posto nel 1821. Il dialogo che la mostra propone assume quindi connotazioni multiformi: antico e moderno, certo, museo e territorio cittadino, anche, ma pure Italia e Russia. Da San Pietroburgo arrivano, oltre alle Grazie (1812-1816), altre cinque sculture: Testa del Genio della morte (1791); Amorino con le ali (1792-1795); Ebe (1796); Amore e Psiche (1803) e Danzatrice con le mani sui fianchi (1811). Dice a Repubblica Michail Piotrovsky, direttore dell' Ermitage: «Proprio nel momento in cui le relazioni tra i Paesi si stanno deteriorando, i contatti tra i musei acquistano ulteriore significato. Gli scambi di mostre sono ponti attraverso i quali i contatti non devono fermarsi. Perché questo è un segno di fiducia.
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Quando questa fiducia si indebolisce, anche tutti gli altri legami possono spezzarsi. Un chiaro esempio sono gli scambi museali tra Russia e Stati Uniti. Si sono fermati a causa di una mancanza di fiducia anche prima che altri tipi di relazioni s' interrompessero».
Nel salone della Meridiana ecco Maddalena penitente da Genova, il Paride dal museo civico di Asolo, la Stele Mellerio. Straordinaria la presenza di alcuni delicatissimi grandi gessi come l' Amorino Campbell e il Perseo trionfante, restaurato quest' ultimo per l' occasione, entrambi da collezioni private. Da Kiev arriverà La Pace.
Il direttore del Mann Paolo Giulierini spiega: «Il neoclassicismo fu il frutto della stagione che partì con la scoperta di Ercolano e Pompei, e lo stesso Canova è l' effetto di quegli scavi». Per lui un ritorno a casa nel più grande museo di archeologia classica del mondo.
paolo giulierini
TREDICIMILA ALL'ARCHEOLOGICO PER LA MOSTRA SU CANOVA
"La bellezza suprema dei capolavori di Canova attira migliaia di visitatori a rischio sindrome di Stendhal. Avanti così". Con queste parole il direttore del Museo archeologico nazionale, Paolo Giulierini, ha commentato il risultato dei primi quattro giorni di programmazione della mostra "Canova e l'antico": da giovedì 28 marzo ad oggi, infatti, oltre 13.000 visitatori hanno ammirato le opere dell'artista di Possagno, in esposizione all'Archeologico. Giulierini, scherzando, allude ai sintomi che colgono chi si trova di fronte a un capolavoro assoluto: tachicardia, capogiri, vertigini, confusione e allucinazioni.
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