Alessandra Ricciardi per “Italia Oggi”
claudio velardi foto di bacco
Il grande sconfitto di questo turno elettorale è il Movimento5stelle, nel 2018 era un partito del 30%, dopo 4 anni praticamente non esiste più. Bene fa dal suo punto di vista Enrico Letta a portare avanti l'idea di un'alleanza, così demolisce il restante consenso che i grillini hanno», dice sferzante Claudio Velardi, saggista e analista politico, ma «parlare di campo largo oggi pensando ai 5stelle è un nonsenso.
E costruire un'alleanza con il centro di Matteo Renzi e Carlo Calenda non è facile per Letta. Il Pd resta sempre lo stesso, un partito di potere vittima dei suoi fantasmi di sinistra». Per dare una «sistemata al sistema», dice Velardi, visto che «oggi nessun partito, salvo forse il Pd, può vantare il consenso con cui è entrato in Parlamento quattro anni fa, sarebbe saggio tornare a una legge elettorale proporzionale.
conte letta
Invece di fare finte alleanze prima del voto che poi saltano, ciascuno si pesi da solo nelle urne. Le alleanze meglio farle dopo». Il calo dell'affluenza? «Un fatto strutturale, gli elettori sono individualisti, decidono loro se e quando andare a votare. Se non lo ritengono utile non c'è verso di convincerli».
Domanda. Poco più della metà degli elettori è andato a votare per le comunali. Sorpreso?
Risposta. Niente affatto, era nell'aria. Ci sono diversi fattori che incidono, alcuni contingenti, altri strutturali. Innanzitutto, non è un momento in cui l'opinione pubblica presta attenzione alla politica, la testa della gente è occupata da altro, dal post pandemia, dalla guerra, dalla voglia di normalità. Non solo i referendum sulla giustizia non costituiscono un valido richiamo ma neppure la gestione della propria città. Tutto passa in secondo ordine. A questo va aggiunta la disaffezione verso le urne, che parte da lontano e non riguarda solo l'Italia.
claudio velardi foto di bacco (2)
Domenica scorsa in Francia si è votato per il primo turno delle legislative e c'è stato un astensionismo record del 52,3%.
D. Finiti i partiti di massa, gli elettori non sono più indirizzabili, ma neppure attratti dall'offerta politica?
R. Il popolo è intelligente, vota quando pensa di poter incidere oppure se ha un'offerta politica che veramente trova stimolante, di rottura, come accaduto con i 5stelle nel 2018. Io non penso che l'affluenza resterà sempre così bassa, ma fin quando il voto resterà un grigio adempimento burocratico la gente farà altro. Dobbiamo fare i conti con corpi elettorali attivi ridotti, molto fluidi e individualisti e dunque non orientabili dalle indicazioni del partito, perché non hanno nella stragrande maggioranza dei casi un partito di riferimento. Il sistema elettorale dovrebbe diventare più semplice, per esempio prevedere modalità alternative al voto in presenza.
GIUSEPPE CONTE CON ENRICO LETTA
D. Tutti a modo loro si proclamano vincitori, chi è il grande sconfitto?
R. C'è un solo vero sconfitto, non tanto la Lega che pure è in grande difficoltà, ma il Movimento5Stelle. Nel 2018 era un partito del 30%, dopo 4 anni praticamente non esiste più, polverizzato anche al Sud, eppure detiene la maggioranza dei seggi in Parlamento. Un fenomeno dalle proporzioni clamorose, ma capisco che alcune testate facciano fatica a dirlo visto che i 5stelle sono stati pompati proprio da una certa stampa.
D. L'alleanza Pd-M5s ha ancora ragion d'essere?
R. Bene fa dal suo punto di vista Enrico Letta a portare avanti l'idea di un'alleanza, così demolisce il restate consenso che i grillini hanno e porta avanti il suo progetto egemonico. Ci sarà chi, per odio verso il Pd, deciderà di andarsene dal Movimento e chi invece passerà con il Pd direttamente.
CLAUDIO VELARDI IN VERSIONE RUNNER
D. E che campo largo è se i 5stelle stanno sparendo?
R. Chiariamo, parlare di campo largo oggi pensando ai 5stelle è un nonsenso. Resta l'alternativa dell'alleanza con il centro, con l'area riformista e moderata rappresentata da Matteo Renzi e Carlo Calenda. Ma per Letta non è facile da costruire, il Pd resta sempre lo stesso, un partito di potere vittima dei suoi fantasmi di sinistra. E infatti se sulla guerra consente a Letta di schierarsi con il governo per l'invio delle armi, poi deve subito cedere qualcosa a sinistra, per esempio sul lavoro o sull'energia.
D. Un centro fatto di cespugli, Paolo Cirino Pomicino lo ha definito un comitato elettorale più che un'alleanza.
R. Sono forze minoritarie e non intruppabili, che non stanno nell'alveo del centrosinistra classico. Il loro bacino di elettori è molto simile a quello che fu di Scelta civica di Mario Monti. Il problema è che il Pd non è nelle condizioni di assumere una posizione riformista e moderata perché ancora troppo sensibile ai richiami dell'elettorato di sinistra sinistra. Questo rende oggettivamente difficile un'alleanza programmatica.
matteo salvini giorgia meloni federico sboarina
D. L'area di centrosinistra è divisa ma pure nel centrodestra non sono messi meglio.
R. Abbiamo un quadro politico terremotato, oggi nessun partito, salvo forse il Pd, può vantare il consenso con cui è entrato in Parlamento 4 anni fa. Fratelli d'Italia dal 4% è lanciata oltre il 20 e potrebbe essere primo partito, la Lega ha fallito nel progetto del partito nazionale ed è in crisi di identità oltre che di leadership, e i 5stelle come dicevamo sono spariti. Per dare una sistemata al sistema sarebbe saggio tornare a una legge elettorale proporzionale. Troppo saggio, temo, perché il sistema lo faccia.
D. Non accrescerebbe il caos?
giancarlo giorgetti giorgia meloni matteo salvini
R. No, farebbe chiarezza, invece di fare finte alleanze prima del voto che poi saltano, ciascuno si pesa da solo nelle urne e le alleanze si fanno dopo.
D. Senza schemi predefiniti potrebbe tornare in pista un governo Draghi?
R. È evidente che se il risultato non dovesse consentire la formazione di un governo politicamente omogeneo, la via di uscita più razionale sarebbe tornare a chiedere a Mario Draghi di prendere in mano le sorti dell'esecutivo. Anche perché la guerra non sarà finita, il Pnrr andrà gestito e saremo probabilmente nel pieno della crisi economica. Finanche a Giorgia Meloni, se dovesse arrivare prima, potrebbe in fondo convenire avere ancora Draghi al governo.
giorgia meloni matteo salvini salvini meloni SALVINI MELONI BERLUSCONI giancarlo giorgetti giorgia meloni matteo salvini
claudio velardi