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    ROMA MIGNOTTINA – VENERDÌ ESCE SU NETFLIX “BABY”, LA SERIE “SOLO LIBERAMENTE” ISPIRATA ALLE BABY SQUILLO DEI PARIOLI – PRODUTTORI E AUTORI CI TENGONO A SPECIFICARE CHE NON SI TRATTA DI NARRAZIONE ZOZZONA: "USIAMO LA METAFORA DELLA PROSTITUZIONE PER RACCONTARE IL DISAGIO PROFONDO DEGLI ADOLESCENTI" – LE INTERCETTAZIONI CHE 5 ANNI FA FECERO TREMARE I PALAZZI ROMANI – IL TRAILER


     
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    1 – LE «BABY» SQUILLO FELICI. ARRIVA SU NETFLIX LA SERIE SULLO SCANDALO DEI PARIOLI

    Francesca D'Angelo per “Libero quotidiano”

     

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    «È giusto uno spunto, ci siamo solo liberamente ispirati alla cronaca, il vero tema è il disagio esistenziale dei giovani e dei loro genitori». Inizia così, giocata tutta in difesa, la presentazione stampa di Baby: la nuova dirompente serie italiana in sei episodi di Netflix, disponibile sulla piattaforma dal 30 novembre. Dietro a cotanta cautela si nasconde la contiguità tra la storia di finzione narrata e l' attualità più tragica: ambientata nel quartiere bene di Roma, ossia i Parioli, Baby racconta il vuoto emotivo di due ragazze adolescenti che le porterà a prostituirsi.

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    Una storia già letta sulle pagine dei giornali, meglio nota come il caso delle baby prostitute di Parioli, che sconvolse l' opinione pubblica nel 2013. Da oggi è anche una fiction che, probabilmente, dividerà gli animi. Da un lato, infatti, Baby si inserisce perfettamente nel filone di teen drama disfunzionali targati Netflix, che annovera i cult 13 reasons why e The end of the f***ing world. È dunque un prodotto figlio del nostro tempo, oltre che del mercato. Gli stessi autori, il cui team unisce il gruppo esordiente «Grams» con le firme Isabella Aguilar e Giacomo Durzi, hanno ribadito la volontà di non scadere nella narrazione pruriginosa, ma di volere volare alto: usare la metafora della prostituzione per raccontare il disagio profondo sentito dalle nuove generazioni.

     

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    DIFFICILE METAFORA

    «Non abbiamo voluto scrivere una storia di denuncia, né una serie rivolta agli adulti ma mostrare come vivono gli adolescenti», spiega Aguilar, «se Baby è una storia di mera prostituzione allora Rocky è solo un film sulla boxe». A differenza dello sport, però, la prostituzione minorile è una metafora difficile da gestire, e non solo in epoca #metoo: per funzionare ha bisogno di una chiave di lettura forte.

     

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    A fare storcere il naso potrebbe essere dunque la volontà degli autori di non sbilanciarsi nel dare messaggi a riguardo: «Non giudichiamo i personaggi ma facciamo un percorso con loro, per capirne lo stato emotivo», spiega il collettivo «Grams». «Questa serie mette il pubblico nella condizione di farsi domande, senza dare risposte», gli fa eco la protagonista femminile Benedetta Porcaroli.

     

    AFFRESCO DEL MALE

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    Baby si presenta dunque come un potente affresco del male di vivere, che inizia e finisce nel suo stesso nichilismo. «Non abbiamo voluto approcciare la storia con un atteggiamento paternalistico: le nostre due protagoniste non sono povere ragazze vittime di questo mondo, ma persone che hanno scelto consapevolmente di prostituirsi», rincara la dose il regista Andrea De Sica, figlio di Manuel e nipote di Vittorio, «con Baby vogliamo capire cosa spinge una 15enne in un tale baratro e quali siano i rischi nell' alzare l' asticella della trasgressione».

     

    Alla casa di produzione, Fabula Pictures, va riconosciuto il merito di non essersi nascosta dietro il paracadute dell' immancabile bestseller sull' argomento: «Il mio paracadute è quello di lavorare con un serbatoio infinito di autenticità», spiega il produttore Nicola De Angelis, «sono sempre stato un sostenitore delle idee originali». Da segnalare, infine, l'ottimo debutto dell' attore Riccardo Mandolini, strepitoso sebbene Baby sia il suo primo ciak. Nel cast anche Isabella Ferarri, Claudia Pandolfi, Tommaso Ragno, Alice Pagani e le star di Braccialetti rossi Brando Pacitto e Mirko Trovato.

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    2 – QUELLO SCANDALO DELLA «ROMA BENE»

    Augusto Parboni per "il Tempo"

     

    Ogni giorno spuntava il nome di un nuovo cliente. E spesso quel nome e cognome corrispondeva a un politico, a un imprenditore o a un professionista. Tutti pagavano per avere rapporti sessuali con le baby squillo dei Parioli. Ragazzine che si prostituivano in un appartamento nel quartiere vip della Capitale anche 8 volte al giorno.

     

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    Cinque anni fa è infatti scoppiato un vero e proprio scandalo dopo l' indagine dei carabinieri che hanno fatto venire alla luce il giro di prostituzione minorile, che ha travolto, oltre ai clienti, molti dei quali condannati, anche le famiglie di alcune ragazzine che tornavano a casa con borse e vestiti firmati comprati con i soldi consegnati da persone che avevano anche 50 anni più di loro.

     

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    Si tratta di una storia dai contorni torbidi in cui erano state arrestate dieci persone e denunciati anche numerosi clienti. Chi procacciava clienti, secondo la magistratura, era Mirko Ieni, condannato poi a 9 anni e 4 mesi di reclusione. A dover ascoltare un verdetto di condanna anche altre nove persone. Ma non finisce qui. In questa vicenda è emersa un' altra triste vicenda: la mamma di una baby prostituta era a conoscenza di cit) che faceva la figlia, tanto da essere condannata a sei anni.

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    Tra le numerose intercettazioni, alcune facevano riferimento alle convesazioni tra la 14enne e la mamma mentre parlano di come conciliare gli incontri a luci rosse nella casa dei Parioli e fare i compiti per la scuola. La ragazzina nell' intercettazione si lamentava di non «avere tempo per fare i compiti» considerato che doveva frequentare la casa ai Parioli e incontrare i clienti. La madre la spronava «ad organizzarsi».

     

    «Il tempo si trova per fare i compiti, quando tu esci da scuola torni a casa...due ore studi...tre ore e...», diceva il genitore alla figlia, che rispondeva: «Dopo non ce la faccio ad andare da Minni (Mirko Ieni), non ce la faccio se studio prima». E la mamma allora suggeriva la soluzione: «Devi trovare un modo per poter organizzarti, considerando poi che esci a mezzogiorno da scuola, dall' una alle tre puoi studià, tanto tu vai sempre alle tre lì».

     

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    E ancora: «Mi hanno chiamato da scuola e io gli ho detto che stavi male pert è evidente che comunque un certo interesse c' è», aveva affermato il genitore della minore. La ragazzina allora rispondeva: «Mamma, sono a casa di Minni, sto lavorando».

     

    Quella scoperta dai carabinieri è stata una vicenda che ha fatto tremare per mesi anche i palazzi del potere, poiché ogni giorno emergeva un nuovo cliente, uomini «potenti» che pagavano per avere rapporti sessuali con quelle ragazzine. Alcuni all' inizio dell' indagine sono finiti nel mirino della procura, ma poi sono stati scagionati per aver dimostrato di aver «solo» telefonato alle baby prostitute ma di non aver mai avuto un incontro a luci rosse con loro.

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    Altri, invece, sono stati condannati anche se nel corso degli interrogatori avevano affermato che non sapevano che le ragazzine fossero minorenni e che quindi erano convinti di avere rapporti con donne maggiorenni. Versioni che però non hanno convinto i giudici che hanno emesso le sentenze di condanna. Tanti clienti smascherati, infine, hanno preferito chiudere i conti con la giustizia patteggiando una pena a un anno di reclusione e al pagamento di mille euro di multa.

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