Fabio Pavesi per Dagospia
jean pierre mustier con elkette versione disegno
Un assegno di 70 miliardi di euro e spiccioli et voilà ci si porta a casa le prime 5 banche italiane per attivo di bilancio. Che se non fosse ancora chiaro vuol dire comprarsi il 70% dell’intera industria bancaria del Bel Paese. Detta così, quei miliardi che possono apparire un sacco di soldi, sono poca cosa per diventare i padroni del sistema bancario della terza economia della zona euro. Quei 70 miliardi erano infatti fino a venerdì sera il valore cumulato di Borsa dei primi 5 istituti nostrani.
Dai due colossi Intesa e UniCredit che valgono insieme poco meno di 62 miliardi di euro di valore di mercato, fino a Ubi banca, il BancoBpm e la sempre claudicante Monte dei Paschi di Siena.
Per le tre banche dietro agli unici due campioni nazionali bastano davvero gli spiccioli. Con soli 8 miliardi fai shopping di tutte e tre. Con 3,34 miliardi ci si compra l’intera Ubi banca. Ne servono ancora meno per il BancoBpm (2,73 miliadi il valore di Borsa a venerdì). E con meno di 2 miliardi sostituisci lo Stato alla guida di Mps.
Tanto per dare una fotografia suggestiva, le prime 5 banche italiane valgono poco più del solo Santander spagnolo. La sola Bnp Paribas vale quanto Intesa e UniCredit messe insieme. E la inglese Hsbc vale due volte le nostre 5 banche tutte insieme. Persino la National Bank of Greece vale oggi il 20% in più di Mps.
victor massiah
Forse visti così questi numeri danno al volo l’idea della crisi sconfinata che sta languendo di nuovo le banche italiane, dopo la tempesta del 2011-2012. E l’imputato principe questa volta è il tanto evocato spread. Più sale il differenziale di rendimento tra i titoli italiani e quelli tedeschi più le banche devono mettere in conto perdite su quei 363 miliardi di buoni del Tesoro che hanno tuttora in pancia.
Più il Paese agli occhi degli investitori perde affidabilità creditizia, più il rischio sovrano si trasmette in automatico al debito pubblico in portafoglio ai nostri istituti. Il riflesso è quasi pavloviano. Su lo spread, giù le banche in borsa. Un copione che tra alti e bassi (più alti però) si ripropone quotidianamente sul mercato di Borsa.
carlo messina
E del resto basta vedere quanto hanno perso in sincrono le banche dai primi di maggio a oggi. Sembra che i mercati lavorino con il pilota automatico nello scaricare tutto ciò che si chiama banca sui listini. Intesa e UniCredit hanno perso entrambe il 35% del loro valore. Ubi il 30%; BancoBpm e Mps il 41% entrambe. Le banche più piccole non sono da meno.
La Bper ha fatto -27% negli ultimi sei mesi; stessa caduta per il Creval e vicina a lei l’altra valtellinese la Popolare di Sondrio con un -24%. Di fatto bruciati tagliati più di un terzo dei prezzi dopo che in primavera del 2018 le banche avevano ritoccato i loro massimi dell’anno. Poi il buio e il capitombolo come nella lunga crisi post 2011.
Oggi è ancora peggio perché quei valori così compressi espressi oggi dal mercato, che coprono a malapena meno della metà del reale valore patrimoniale degli istituti non si vedevano dai tempi della crisi del debito sovrano.
Ma all’epoca le banche non solo erano piene oggi come allora di titoli di Stato (si raggiunse il picco di oltre 400 miliardi di Btp nei portafogli), ma erano zavorrate da una montagna di sofferenze e incagli che pesavano per oltre 300 miliardi sui bilanci. Oggi quelle sofferenze non sono più lo spauracchio principe.
MONTE DEI PASCHI
Tra cessioni ed effetto rientro dalla recessione dell’economia italiana, il loro peso è fortemente diminuito e non produce più quella marea di perdite che ha caratterizzato il periodo 2012-2016 quando il conto totale del rosso di bilancio ha totalizzato oltre 50 miliardi, figli delle continue svalutazioni dei crediti avariati.
Tanto che le banche nel 2017 sono tornate a produrre utili. Ora quella via d’uscita dalla lunga crisi che sembrava acquisita è di nuovo compromessa. Troppo e troppo stringente il rapporto tra il nostro debito pubblico e quella quota pari al 15% dell’ammontare detenuta direttamente dal sistema creditizio. Le perdite sui titoli finiscono a erodere il capitale, quel capitale che le banche avevano faticosamente ricostruito con gli aumenti di capitale chiesti ai soci.
DI MAIO SPREAD
Se il capitale va sotto pressione, il circolo vizioso già conosciuto torna in campo. Si riducono i prestiti e in ogni caso aumentando il costo della raccolta i nuovi costi si scaricheranno su conti correnti e servizi bancari. Non bastano quindi le perdite di portafoglio delle centinaia di migliaia di italiani che investono in azioni bancarie; si aggiungeranno nuovi costi ai clienti, dato che le banche trasleranno proprio alle clientela i nuovi costi.
Per non parlare dei crediti. La stretta creditizia non è mai finita: mancano all’appello tuttora circa 70 miliardi di impieghi rispetto allo stock di crediti a imprese e famiglie negli anni della crisi.
Vista così certa retorica populista anti-bancaria si copre solo di ridicolo. Le banche saranno anche brutte, sporche e cattive ma se le affossi, distruggi un pezzo di economia reale e danneggi i risparmiatori e gli investitori. Un boomerang incosciente e irresponsabile.
BORSA MILANO