Paolo Baroni per “la Stampa”
CLAUDIO DESCALZI
L’Eni aumenta a 11 miliardi il valore delle dismissioni e accelera sulla ristrutturazione del comparto raffinazione, l’Enel a sua volta spinge sul suo piano di cessioni da 4 miliardi (a partire da Romania e Slovacchia), dà il via libera ad una riorganizzazione dell’intera struttura e al riassetto delle attività nell’area iberica e in America Latina.
I due giganti pubblici dell’energia, al primo test della nuova dirigenza, con i bilanci trimestrali approvati ieri dai rispettivi cda, però mettono soprattutto in chiaro le loro strategie per i prossimi anni.
Francesco Starace ad Enel Green Power
Per l’Eni secondo trimestre in netto miglioramento con l’utile netto che sale del 139% a quota 0,66 miliardi (1,96 nel semestre, +7,9%), un cash flow operativo di 3,59 miliardi (il migliore dal II semestre 2012), a fronte di 27,353 miliardi (-2,7%) di ricavi (55,556 nel semestre, -4,6). Produzione di idrocarburi sostanzialmente invariata a 1,58 milioni di barile/giorno, come stabili sono le vendite di gas.
«Nel 2014 lo scenario di mercato è complessivamente peggiorato rispetto al 2013 - spiega l’ad Claudio Descalzi -. In particolare, nel settore della raffinazione abbiamo vissuto a livello europeo un drastico calo dei margini, frutto dell’eccesso di capacità, che ci ha portato ad accelerare il piano di ristrutturazione dei nostri impianti.
Enel
Malgrado il contesto negativo Eni ha conseguito un flusso di cassa in netta crescita grazie alle rinegoziazioni dei contratti gas di lungo termine i cui effetti consentono di anticipare il breakeven del settore Gas & Power al 2014. Nell’upstream continuiamo a conseguire successi esplorativi di rilievo e, nonostante la complessità del contesto geopolitico, la nostra produzione rimane stabile».
Molte le novità illustrate poi ieri pomeriggio a Londra agli analisti finanziari a quali è stato prospettato un rafforzamento di tutti gli obiettivi strategici del gruppo: da una crescita del 3% annuo della produzione di idrocarburi, al programma di riduzione dei costi (-1,7 miliardi al 2017), sino all’incremento da 9 a 11 miliardi (di cui 6 nel biennio 2014-2015) del piano di dismissioni con Saipem ufficialmente classificata «non più strategica» e quindi cedibile.
SAIPEM
Sempre ieri, intanto, grazie alla mediazione del ministro dello Sviluppo Federica Guidi, azienda e sindacati, che mercoledì notte avevano rotto la trattativa, hanno trovato un’intesa su Gela e Porto Marghera. Sono stati riconfermati gli accordi del 2014 e del 2013 rispettivamente su Marghera e Gela, dove in particolare è stato deciso di riaprire l’impianto, avviare le manutenzioni coinvolgendo l’indotto e procedere la ripristino della linea 1. «E’ un’intesa che da speranze ad un intero territorio», hanno commentato soddisfatti i sindacati siciliani. Per l’Eni però la situazione resta delicata, al punto che prospetta un aumento dal 35 al 50% della riduzione delle attività di raffinazione.
Meno brillanti i conti dell’Enel: ricavi del semestre in calo dell’8,1% a quota 36,1 miliardi e utile netto stabile a 1,8 miliardi (+0,3%). Il nuovo ad, Francesco Starace conferma l’obiettivo di un indebitamento netto di 37 miliardi a fine anno e il mantenimento della politica dei dividendi degli anni passati.
PALAIS LUMIERE LA TORRE DI PIERRE CARDIN AL PORTO DI MARGHERA
Il cda ha poi dato il via libera alla riorganizzazione del gruppo in 5 divisioni e 4 paesi per «accelerare il processo di efficientamento». Particolare attenzione a Spagna ed America latina con la semplificazione della struttura societaria e, tra l’altro, il passaggio del controllo della cilena Eneris, capofila delle attività in Sud America, da Endesa direttamente ad Enel.
Contrastata la reazione di Piazza Affari su due titoli: ieri l’Eni, che a settembre corrisponderà un acconto sul dividendo di 0,56 euro per azione, ha perso l’1,65%, mentre Enel è rimasta quasi ferma (+0,09%).