Salvatore Giuffrida per repubblica.it
albin kurti Alexandar Vucic
Soffiano sempre più forti i venti di guerra nei Balcani: Belgrado ha schierato l’esercito al confine con il Kosovo perché teme attacchi e aggressioni da parte della polizia kosovara alla minoranza serba che vive nel nord del paese. La tensione è alle stelle, la Nato e le forze militari internazionali, incluso la Kfor, hanno alzato lo stato d’allerta.
E pure il presidente della Serbia Aleksandr Vucic ha disposto il massimo livello di prontezza al combattimento per le forze armate. Lo ha annunciato il ministro della Difesa Milos VucevicNelle prime ore del mattino i serbi kosovari di Mitrovica, città simbolo del nazionalismo serbo e capoluogo del nord del Kosovo, hanno rovesciato alcuni camion, bloccato la via centrale e tirato su un checkpoint che al momento è presidiato dalla milizia serba-kosovara e divide in due la città: da una parte i quartieri dell’area est a maggioranza serba, dall’altra il quadrante sud della città a maggioranza albanese.
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La polizia kosovara non può accedere alla parte serba della città che è di fatto sospesa in un limbo di attesa. Stessa situazione a Zvedan, altro comune a maggioranza serba nel nord del paese. Si teme un attacco da un momento all’altro, qualsiasi pretesto può scatenare un incidente che può risultare fatale soprattutto perché Usa e Russia stanno a guardare da dietro le quinte: da sempre il Kosovo, indipendente ma di fatto sotto l’egida Nato, è un braccio di ferro per Washington e Mosca storica alleata della Serbia. Sono ore concitate e il patriarca Porfirije, capo della Chiesa serba ortodossa, a cui ieri è stato negato l’ingresso in Kosovo dalle autorità di frontiera, getta acqua sul fuoco: “Le tensioni hanno raggiunto un punto da cui si possono aprire strade che nessuno vuole”, spiega in conferenza stampa.
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E sul dietrofront imposto dalle autorità kosovare, Porfirjie si è limitato a dire che “è stato un giorno molto triste e inaccettabile”, ma nulla di più. Del resto gli equilibri sono delicatissimi e la missione italiana del ministero degli esteri organizzata una settimana fa non ha portato risultati. Anzi, le barricate della comunità serba kosovara continuano da giorni: ci sono checkpoint improvvisati appena fuori Mitrovica, ma anche nei comuni di Potoc, Merdare, Zdejan, tutte città nel rod del paese a maggioranza serba. Chiedono lo status di autonomia speciale e protestano per gli arresti fatti nei giorni scorsi dalla polizia kosovara a danno di alcuni ex agenti di polizia di origine serba: le barricate sono state erette proprio per impedire alla polizia kosovara di portarli a Pristina.
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In realtà dietro le quinte dei nazionalismi i motivi sono squisitamente politici: dopo la guerra del ’99 il Kosovo sta cercando di darsi, nell’ambito dell’accordo di pace, una amministrazione indipendente ma il paese dipende di fatto dalle forze internazionali che reggono in piedi un delicato equilibrio fra albanesi di etnia albanese e la comunità serba che vive nel nord del paese, teme di essere messa all’angolo dalla maggioranza albanese e per questo è difesa a spada tratta da Belgrado, forte del sostegno di Mosca: manca persino un prefisso internazionale e un sistema di targhe univoco. Non sarà facile abbassare la tensione: “gruppi di criminali continuano ad erigere barricate per impedire la libertà di movimento”, scrive oggi la polizia kosovara. Le parole contano nei Balcani.
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