Alberto Mattioli per “la Stampa”
valentina carrasco foto di bacco
La politica è un mattatoio, dove o si ammazza oppure si viene ammazzati. E allora congiure e crimini del Simon Boccanegra al Festival Verdi di Parma, domenica sera in contemporanea con il massacro del Pd, si svolgevano fra i quarti di bue appesi in uno scannatoio industriale. Così ha deciso la regista Valentina Carrasco, con una metafora forse un po' scontata; di certo, per Parma assai pericolosa (avesse almeno appeso dei culatelli...). Infatti è stata puntualmente giustiziata dal loggione locale, autoinvestitosi del ruolo di custode di un'autenticità verdiana doc e dop e docg, come vedete siamo sempre nell'agroalimentare.
Quest' anno al Festival si portano molto le gazzarre: alla Forza del destino inaugurale perché era stato scritturato il Coro del Comunale di Bologna e non quello autoctono; a questo Simone, più tradizionalmente, per le malefatte della regista.
SIMON BOCCANEGRA
L'idea di base comunque non è sbagliata: Simone come capo populista di un Quarto stato di camalli e macellai contrapposto al vecchio boss Fiesco (però con i capelli troppo lunghi per essere un vero tecnocrate calendiano votato solo nella Ztl) funziona anche fra container e reparto salatura. Genova c'è, il mare idem, la drammaturgia è quella, cambia solo l'ambientazione delle scene di Martina Segna (mentre i costumi di Mauro Tinti sono ovviamente contemporanei):
ma le costate il pubblico proprio non le ha digerite. Detto questo, va aggiunto che Carrasco è comunque una regista vera, capace di far recitare i cantanti, di muovere il coro e anche di risolvere i momenti che in quest' opera risultano sempre vagamente ridicoli, come l'avvelenamento di Simone. Insomma, l'esatto contrario di Yannis Kokkos nella Forza, quella sì imbarazzante, ma che ovviamente nessuno ha fischiato. Chissà perché in Italia le valutazioni tecniche si applicano ai direttori e ai cantanti e non ai registi, che vengono giudicati sempre e solo dalle loro idee e mai dalla capacità di trasformarle in teatro.
SIMON BOCCANEGRA
Bisogna anche precisare che si trattava del «primo» Boccanegra, quello del 1857: ascoltandolo, si capisce perché Verdi lo considerasse «un tavolo zoppo», ma anche perché decidesse che valeva la pena di raddrizzarlo per licenziare, 24 anni dopo, il capolavorissimo che conosciamo. Non si trattò soltanto di sostituire il Finale primo con la Scena del consiglio, vertice del Verdi «politico» quindi del teatro di tutti i tempi, di tagliare di qua e di aggiungere di là, ma anche e soprattutto di una miriade di piccoli aggiustamenti quasi magici: Verdi sposta due note, sistema un accompagnamento, cambia un accento e l'argento diventa oro.
Dal podio, Riccardo Frizza ha giustamente diretto l'ur-Simone per quello che è e non per quello che sarebbe diventato, guardando indietro e non avanti, con una grandissima attenzione a sostenere il palcoscenico. Compagnia, in ogni caso, ottima. Vladimir Stoyanov non ha né un timbro né un volume eccezionali, ma canta e recita con grande gusto e notevole efficacia. Morire in scena non è mai facile, men che meno se ti vien chiesto di farlo in piedi.
SIMON BOCCANEGRA
Molto solido anche il Fiesco di Riccardo Zanellato e davvero bravissimi i «giovani», Piero Pretti e Roberta Mantegna, cui tocca anche una micidiale cabaletta inutilmente difficile che poi Verdi taglierà. Dell'esito si è detto. Prima, ci siamo dovuti sorbettare i commenti urlati a voce altissima con la tipica «erre» locale da una loggionista che ormai dovrebbe comparire in locandina, dato che «canta» più di certi comprimari, i fischi, le battute e il «signore» che in platea faceva il gesto dell'ombrello ai buoi (che non hanno replicato). Solito folklore, insomma. Alle chiamate finali, Carrasco ha però reagito agli improperi facendo con le mani il gesto del cuore. Chapeau.
valentina carrasco foto di bacco alberto mattioli