Aldo Grasso per il "Corriere della Sera"
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Il 6 aprile 2018 Netflix rilascia in tutto il mondo la seconda stagione de La casa de papel (La casa di carta), lanciata in Spagna da Antena 3 (che ha prodotto e trasmesso la prima stagione).
È una novità produttiva assoluta: di fatto Netflix ha rimontato la prima stagione, diminuendo la durata degli episodi e dividendola in due parti; ha poi prodotto le successive stagioni (quattro per ora, in attesa della quinta). La serie diventa così un successo internazionale, generando un profluvio di commenti, venendo considerata addirittura eversiva in alcuni Paesi.
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La casa de papel, ideata da Álex Pina, racconta di una grande rapina alla Zecca di Stato spagnola, forse un'allegoria di una più ampia ribellione contro il sistema e contro le politiche della Banca centrale europea. In realtà è una grandiosa partita a scacchi fra il «Professore» (l'attore Álvaro Morte) che guida gli otto assalitori e l'ispettore Raquel Murillo (l'attrice Itziar Ituño): mosse e contromosse, preparazione e improvvisazione. I criminali reclutati si riuniscono in una tenuta nella campagna di Toledo per studiare scrupolosamente il piano e prepararsi al meglio alla grande impresa.
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È qui che si conoscono, scoprendo che per motivi di sicurezza non possono instaurare relazioni tali da compromettere il piano e che possono utilizzare solo degli appellativi fittizi di nomi di città. Dall'altro lato della barricata si trova la detective, esperta in contrattazione per il rilascio degli ostaggi, una donna forte e determinata che ha però alle spalle una situazione familiare disagiata a causa della violenza dell'ex marito nonché collega e della malattia della madre.
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Il Professore, rimasto fuori dalla Zecca per gestire il piano, tenterà in ogni modo di manipolare lei e tutto il corpo di polizia. Se la serialità classica (per esempio Hill Street Blues) era costruita con perfezione per la scadenza settimanale, La casa de papel, nata per la tv tradizionale, è finita per essere uno degli esempi più riusciti delle nuove forme di consumo, il binge-watching o «effetto Netflix».
I colpi di scena e l'espediente retorico del cliffhanger sono così surriscaldati da costringere lo spettatore a non desistere, ad abbandonarsi al continuum narrativo favorito dalle nuove tecnologie. Se da alcune serie «alte», la scrittura de La casa de papel ha preso a prestito tecniche raffinate (l'uso del flashback, le citazioni filmiche e letterarie, il gusto dell'action), non ha disdegnato, come Steve Bochco aveva fatto con Sentieri o General Hospital, di attingere alle telenovele spagnole, che sappiamo essere molto vitali specie nei dialoghi e nelle trame multiple.
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In un ordito di straordinaria potenza, la serie offre una varietà di temi in modo da coprire un ampio spettro di empatie: le storie singole, i rapporti fra sequestratori e sequestrati, la sindrome di Stoccolma, le psicologie, le ideologie... Nel prosieguo delle stagioni, si vede la mano di Netflix: nel budget, nella rincorsa sfrenata e incalzante dell'eccesso, nelle location faraoniche, nell'equilibrio spesso instabile tra action e comedy.
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Grazie a un'articolata e sofisticata mescolanza di piani temporali, la serie guida lo spettatore in un complesso groviglio di nodi in cui tutto si tiene nelle mani del Professore, autentico burattinaio della vicenda. La banda si è arricchita di nuovi personaggi: Stoccolma (l'ex ostaggio innamoratasi di uno dei sequestratori), Palermo (destinato ad assumere centralità nella narrazione) e Lisbona (l'ex ispettore Murillo passata per amore dall'altra parte della barricata).
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La casa di carta è anche questo: un ribaltamento delle convenzioni con i criminali che vengono acclamati e le maschere di Dalí che diventano simbolo del populismo di sinistra in tutto il mondo. Ma più che denuncia sociale, la serie è semplicemente un riuscito esempio di guilty pleasure sociale, quel meccanismo che ci tiene incollati a una storia anche quando ne percepiamo le esagerazioni. Senza vergognarcene e sentendoci, in fondo, parte della Storia. C'è anche un'inconsueta e un po' stiracchiata strizzatina d'occhio alla cultura popolare italiana: un gruppo di frati intona «Ti amo» di Umberto Tozzi e «Centro di gravità permanente» di Battiato.
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