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    ‘’O PROVOCADOR POP’’ – VEZZOLI: “IL POTERE DELLE STAR È PIÙ DURATURO DI QUELLO DEI PRESIDENTI USA: TRA JACK NICHOLSON E BILL CLINTON COME ICONA FINORA HA VINTO NICHOLSON”


     
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    Alessandra Mammì per "L'Espresso"

    Francesco Vezzoli FrancescoFrancesco Happily ever after ditticoFrancesco Vezzoli FrancescoFrancesco Happily ever after dittico

    Su "Vogue Brasil" mi hanno definito "O Provocador Pop". Proprio adesso che son diventato così classico!». O più propriamente è in fase neo-classica, Francesco Vezzoli. Almeno a guardare gli autoritratti scolpiti nel marmo candido e disposti come un dittico accanto a veri busti di Antinoo o di Adriano imperatore. Lì nella sua mostra in corso al MaXXI, tutta un velluto rosso, sipari e processione di fanciulle drappeggiate. Prima tappa di «Trinity, la mia ironica cosmogonia Museo-Chiesa-Cinema», dice.

    «Tre mostre! Tre città: Roma, New York, Los Angeles! Due nazioni!».Tuona la voce narrante di un trailer tutto lusso e technicolor, degno di un classico di Hollywood, che gira per la Rete: «Fame Art Religion Sex Obsession Vanity! Fran...ce...sco Ve...zzo...li. TRINITY!!!», sillaba ancora il vocione. Arte, glamour e religione: per una mostra che chiude, un'altra se ne apre.

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    È il progetto più ambizioso di Vezzoli: quello di disegnare le ossessioni contemporanee e i fondamenti del suo immaginario. E se il capitolo Arte dell'antologica che va da Adriano agli ironici omaggi a Bruce Nauman si chiuderà il 24 novembre, contemporaneamente si aprirà quello della Fede al Moma Ps1 di New York grazie a una piccola chiesa sconsacrata comprata in Calabria e trasportata pietra su pietra oltre-oceano per essere ricostruita lì.

    Francesco VezzoliFrancesco Vezzoli

    E nel febbraio 2014, alla chiusura di questa seconda mostra, con top model in veste di sante, martiri e Madonne, si aprirà al Moca di Los Angeles l'ultima tappa. Là, nella sala proustianamente ricostruita con gli arredi di un cinemino di Brescia ormai chiuso, si celebra quel divino red carpet che ossessiona Vezzoli fin da quando è piccolo.

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    "O provocador", l'artista delle dive, quello che ha convinto Natalie Portman e Lady Gaga a entrare in una sua opera. E ora, per lanciare la mostra di febbraio al Moca, sta girando uno spot con Jessica Chastain conciata come una Barbara Bush, tailleur bianco e capelli cotonati, che piange e ricama. Arte&cinema, nonostante le proporzioni invertite: il glamour dell'arte che cresce e quello del cinema che svanisce. E lui, Vezzoli, che tra Biennale Arte e Mostra del Cinema non rinuncia a Venezia, resta lì nel mezzo, a raccogliere la polvere di stelle e studiare da antropologo quel che resta sul tappeto rosso.

    Un tempo l'arte era elitaria e il cinema popolare. Oggi invece Damien Hirst è famoso e il cinema è cannibalizzato dal Web.
    «Ma i divi restano divi. Leonardo Di Caprio ha raccolto 35 milioni di dollari in un'asta pro balene bianche che se fosse stata battuta da Christie's avrebbe fatto al massimo un milione. Da poco è nata una nuova figura professionale, quella del broker che tratta con le case di mode i prezzi per far indossare alla star quel vestito o l'altro. I divi portano la gente al cinema, la convincono a comprare un profumo, provocano processi imitativi, sono icone allo stato puro. Come fa un artista a restare indifferente!».

    Infatti molti suoi colleghi, da Schnabel a Steve McQueen, colpiti da tanto fascino son persino passati alla regia.
    «A volte con risultati disastrosi, ma intenzioni sempre buone o comunque rispettose. Purtroppo non posso dire altrettanto del comportamento dei registi rispetto all'arte. Spesso non la conoscono, molto più spesso la disprezzano. Una volta organizzai una cena e invitai Matteo Garrone. Io avevo visto tutti i suoi film, lui non aveva alcuna idea di cosa facessi io. Non va meglio con Sorrentino».

    FRANCESCO VEZZOLIFRANCESCO VEZZOLI

    Non le è piaciuto "La grande bellezza"?
    «Al contrario: mi è piaciuto. Ma di fronte alla sequenza con la finta Marina Abramovic che prende a testate il muro romano, come artista mi sarei dovuto alzare e andare via. È strano che Marina sia stata trattata meglio in un episodio di "Sex and the City" girato circa dieci anni prima della esibizione al Moma, piuttosto che nel film di Sorrentino girato tre anni dopo.

    bill clinton hillarybill clinton hillary

    Perché dopo il Moma, Marina, piaccia o meno, è un fenomeno culturale con cui bisogna fare i conti. Ridicolizzarla con tale superficialità è la voragine del film. Un sintomo preoccupante. Non trova strano che una persona che lavora con materiale visivo non sia interessata a vedere cosa accade alla Biennale o a Documenta? Io al contrario vedo tutti i film che posso, alto e basso, autoriale e trash».

    Forse l'arte contemporanea è vista come cosa elitaria e in fondo snob.
    «Ecco il paradosso. Registi che considerano elitari artisti molto più famosi e ricchi di loro, capaci di portare centinaia di migliaia di visitatori ad ogni loro mostra quando le sale invece restano mezze vuote. La verità è che nel mondo intero i cinema chiudono e i musei aprono con tutto il loro corredo di spille, gadget, cataloghi, magliette e borsette. Un'industria popolarissima. Ma anche potente, basta guardare l'aeroporto di Venezia».

    lady gaga madonnalady gaga madonna

    Perché l'aeroporto?
    «Perché quando è tempo di Biennale Arte non c'è un posto libero. Jet privati degli uomini più ricchi del pianeta che rappresentano il potere finanziario, che poi è potere tout court vista la mobilità di quello politico. Quando c'è la mostra del cinema invece lì staziona al massimo un jet della Sony che ha portato al Lido la diva impigrita e poi se la riporta a casa».

    Le conosce bene le dive!
    «Per niente. La diva mi interessa per quello che rappresenta nel mondo contemporaneo. Non ho mai cercato di diventare amico di una star con cui ho lavorato. Non mi incuriosisce la loro vita privata. Voglio penetrare il meccanismo che crea tensione, la nascita di un oggetto del desiderio. Ora mi sembra di aver esaurito questa curiosità verso il divismo e indago altre cose».

    JACK NICHOLSONJACK NICHOLSON

    Dalle dive all'imperatore Adriano?
    «Le dive e l'imperatore sono la stessa cosa. L'arte si è sempre confrontata con la storia, con il potere e con chi lo detiene saldo in mano. Tiziano ritrae Carlo V e Warhol Liz Taylor. È il segno dei tempi. Il potere delle star è stato duraturo, più di quello dei presidenti degli Stati Uniti. Tra Jack Nicholson e Bill Clinton di certo come icona finora ha vinto Nicholson».

     

     

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