Rodolfo Parietti per “il Giornale”
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Relegata negli strapuntini delle cronache intasate dall' emergenza coronavirus, a inizio maggio è uscita la notizia che le trattative bilaterali fra Unione europea e Gran Bretagna stanno sfiorando il deragliamento. La recente guarigione dal Covid-19 non ha reso più malleabile il leader inglese Boris Johnson, convinto ancora di non voler prorogare di uno-due anni il periodo di transizione che impone all' isola di rispettare norme e regolamenti comunitari. Le divergenze, soprattutto su pesca e concorrenza. Appaiono al momento due ostacoli insormontabili. E la difficile gestione della pandemia sia sul continente sia sull' isola, rende meno agevole la ripresa dei negoziati, amplificando il rischio di un divorzio brutale.
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michel barnier con il sindaco di londra sadiq khan
È il peggiore degli scenari possibili. Un conto è infatti accordarsi sulla libera circolazione di merci e cittadini, un altro è rovesciare il tavolo alzando barriere fatte di visti e dazi. In mancanza di un deal, dal prossimo primo gennaio al bilancio comunitario verranno a mancare i 60 miliardi di contributo britannico. Ma questo sarà solo il primo effetto. L' Unione europea aveva detto di voler puntare a un' intesa con «zero tariffe, zero quote e zero dumping», ma se la separazione avverrà senza accordi le ricadute rischiano di essere dolorose. Soprattutto per l' Italia, paralizzata dall' epidemia nei suoi gangli sociali e produttivi e già azzoppata dalla picchiata del Pil. Londra potrebbe essere l' innesco per un aggravamento della recessione.
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In ballo ci sono infatti quasi 25 miliardi di euro di esportazioni, in pericolo quel flusso di merci che dalla penisola sono sbarcate oltre Manica nel 2019 per compensare il deficit del Regno in settori come quello agro-alimentare e che hanno contribuito all' avanzo di circa 15 miliardi della nostra bilancia commerciale.
Senza tener conto dei costi necessari per assolvere i nuovi adempimenti doganali, settori di punta del made in Italy rischiano di andare in sofferenza se Londra, seguendo l' esempio di Donald Trump, deciderà di introdurre tariffe aggiuntive sull' importazione di merci.
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La Coldiretti, già scottata dalla misure punitive della Casa Bianca e spaventata dalla possibile proliferazione di prodotti taroccati, ha da tempo lanciato l' allarme ricordando come in gioco vi siano complessivamente 3,4 miliardi di euro di esportazioni dell' agri-industria tricolore in Gran Bretagna, al quarto posto tra i partner commerciali del Belpaese per cibo e bevande. Identica è però la preoccupazione di settori di punta come quello dei macchinari e apparecchiature, che vale 3,1 miliardi di export, degli autoveicoli (2,7 miliardi), dell' abbigliamento (1,9), farmaceutica (1,6) e chimica (1,3).
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Tutti comparti che hanno registrato, fino alla seconda metà dell' anno scorso, incrementi nelle vendite a doppia cifra determinati dalla necessità britannica di accumulare scorte in modo da limitare i danni in caso di leave senza accordo, e che ora temono di dover far fronte a una diminuzione - se non addirittura a un crollo - del giro d' affari. Almeno per un paio di motivi. Il primo rimanda direttamente agli effetti derivanti dall' attivazione di tariffe supplementari.
Uno studio della Banca d' Italia basato sull' ipotesi di una hard-Brexit stimava un cinque per cento di tasse aggiuntive sulle merci italiane. La media nasconde però una forbice compresa fra il 2% che pagherebbero i prodotti della meccanica e il 13% dell' alimentare.
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Sempre che Londra non scelga di imitare del tutto il modello-Trump, alzando le aliquote in modo indiscriminato al 25%.
Va inoltre considerato l' aspetto congiunturale. L' Inghilterra dovrebbe chiudere il 2020 con una contrazione economica del 14%, ma la Bank of England ha finora lasciato invariati allo 0,1% i tassi motivando la decisione con la solidità del sistema finanziario britannico.
BORIS JOHNSON CORONAVIRUS BORIS JOHNSON DISPERATO GUARDA UNA MAPPA DELLA DIFFUSIONE DEL CORONAVIRUS IN ITALIA
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L' introduzione di dazi può provocare rincari sui prezzi finali delle merci (per i generi alimentari si parla di un 20%) tale da scoraggiarne l' acquisto da parte delle famiglie inglesi che a causa della pandemia hanno già ridotto in media i consumi del 5%, con un picco del -34% per l' abbigliamento.
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