Francesco Semprini per "la Stampa"
vladimir putin
«È proprio la persona che gli Stati Uniti vorrebbero sul posto in un momento di crisi». Così, su Twitter, Christopher Burgess descrive Bart Gorman, il vice ambasciatore degli Stati Uniti a Mosca espulso dalla Russia.
La definizione potrebbe avere diverse interpretazioni, ma il fatto che provenga da Burgess le fa assumere un significato preciso. L'autore del cinguettio è un veterano della Cia, 30 anni di servizio a Langley, un guru di sicurezza nazionale, spionaggio, minacce interne e problemi e sorveglianza informatica.
bart gorman
Uno che quindi scrive con cognizione di causa, specie su aspetti relativi a crisi gravi come quella ucraina. È lecito quindi pensare che dietro all'espulsione di Gorman ci possa essere da parte di Mosca la sensazione che il suo ruolo sia strategico, appunto, in un momento di crisi.
La misura «non è stata provocata e noi consideriamo questo un passo verso l'escalation, stiamo pertanto considerando la risposta», è stato il commento di Jason Rebholz, portavoce dell'ambasciata Usa.
Occorre mettere assieme alcuni elementi. Secondo alcuni media occidentali la decisione di Mosca «sembra essere una ritorsione per la richiesta di lasciare il Paese inviata da Washington ai diplomatici russi negli Usa per più di tre anni».
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In realtà le espulsioni simmetriche dei mesi scorsi erano state congelate, pertanto è da capire perché riprendano proprio ora, quando la crisi sarebbe dovuta sfociare in un'azione militare russa, come previsto dall'intelligence anglo-americane.
Analizzando il profilo di Gorman, emerge che il diplomatico di carriera è responsabile della gestione degli aspetti chiave delle relazioni tra Stati Uniti e Russia, e nel suo ampio pedigree formativo c'è un master in intelligence strategica presso la National Intelligence University.
christopher burgess
Dal 2017 al 2019, è stato nel dipartimento per la sicurezza diplomatica di Foggy Bottom e in precedenza, «ha lavorato come direttore dell'ufficio per l'intelligence e l'analisi del rischio della sicurezza diplomatica».
E ancora prima, tra il 2014 e il 2016 (quindi in piena prima crisi ucraina), ha servito come senior regional security officer proprio a Mosca. Elementi che, se non altro, potrebbero aver insospettito il Cremlino, anche perché - ma è da confermare - sembra che sia stata ordinata l'espulsione di un secondo diplomatico Usa che lavorava a stretto contatto con Gorman.
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Un altro giallo riguarda il fatto che la notizia dell'ordine di via sia stata data dai media russi prima che dal ministero degli Esteri di Mosca, il cui sito risultava fuori uso dopo le rivelazioni delle agenzie e, financo, la pubblicazione delle risposte di Mosca a Washington.
C'è infine un altro elemento che sebbene passato sotto i radar mediatici ma che potrebbe avere un ruolo in tutta la vicenda. Volodymyr Zelensky, sebbene continui ad essere preoccupato per le mosse di Vladimir Putin, ha nelle ultime ore rimarcato il dubbio che le notizie diffuse dall'amministrazione di Joe Biden non siano solo una questione di intelligence.
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Secondo uno studio presentato alla Rada, tale «isteria» di informazioni è costata all'Ucraina fra i due e i tre miliardi di dollari al mese, stando alle stime formulate alla Rada, e riportate da David Arakhamia, leader del partito di governo. Il quale, nominando Cnn, Bloomberg e Wall Street Journal, afferma: «Quando questa fase si concluderà, tra due o tre settimane, dovremo capire come alcuni grandi media abbiano diffuso certe notizie. Dovremo studiarlo perché questi sono elementi di guerra ibrida».
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