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Antonio Riello per Dagospia
Il mercato di Portobello Road a Londra è una realtà da sempre molto conosciuta e amata anche dai numerosi turisti italiani che visitano capitale britannica. Lo si potrebbe definire senz'altro uno dei luoghi fondamentali dell'immaginario collettivo, un posto dove si può facilmente toccare con mano l'atmosfera Old Britain : ovvero quel tocco "cool" capace di suggerire, quasi sempre, atmosfere fatte di rilassata e sportiva aristocrazia mescolata con la fumosa ed allegra baldoria del pub.
La lunga e leggendaria via si dipana in maniera piuttosto tortuosa ed è quasi completamente costellata da una lunga teoria di negozietti e bancarelle. Ci sono mercanti che sono lì da moltissimo tempo - di "solida reputazione" come si potrebbe dire - e banchetti improbabili assolutamente temporanei e provvisori, destinati a sparire o spostarsi già il giorno successivo.
Ognuno ha la sua specialità e l'insieme si dimostra alla fine molto ecumenico: ad oggetti preziosi e costosi di antiquariato si alternano con nonchalance oggetti di seconda mano da rigattiere. Infatti come in tutto i "mercatini delle pulci" i differenti livelli di qualità e di prezzo convivono in un curioso e felice equilibrio.
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Qui tradizionalmente l'argento e il "silverplate" sono tra le merci più scambiate e ricercate: ci sono lussuosi alberghi del Medio Oriente che si riforniscono qui per tutte le loro posate (migliaia di pezzi alla,volta !) oppure artisti come Cornelia Lauf che compera qui gli oggetti in silver plate che poi distrugge per fare le sue famose installazioni.
Si sente dire in giro, da decenni ormai, che sono finiti i (bei) tempi nei quali qui si trovavano cose particolari a prezzi interessanti e che oramai Portobello Road sia diventata solo una polverosa attrazione turistica senza più fascino. Un po' è vero, certamente.
Ma alcuni tra i più facoltosi e bulimici collezionisti londinesi di oggetti e reperti, almeno privatamente, ammettono di rifornire la propria collezione spesso ancora da queste parti. Naturalmente i clienti più affezionati e abitudinari hanno accessi e orari privilegiati e sono costantemente e tempestivamente avvertiti quando arriva qualcosa all'altezza delle proprie esigenze, a differenza del normale cliente occasionale.
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C'è l'antiquariato vero e proprio e il vintage (che potremmo un po' nazionalisticamente tradurre in "modernariato"). E poi, ancora, l'oggetto contemporaneo, nuovo o di seconda mano. Insomma sinteticamente: "altro ieri", "ieri" e "oggi". Il fenomeno davvero interessante rispetto a questi tre livelli merceologico-temporali è come negli ultimi anni, diciamo nell'era della attuale crisi generale, si siano differenziati e dislocati i prezzi.
Era decisamente normale, almeno dalla seconda metà dell'ottocento in poi fino alla fine del 2008, che le cose antiche fossero le più costose (perchè logicamente più rare) seguite da quelle di nuova produzione ed infine da quelle "vecchie" (ma appunto non abbastanza da essere considerate antiche).
In pratica il grande meccanismo della moda, intesa come evoluzione ciclica del gusto in genere e non solo dell'abbigliamento, rendeva appetibile il nuovo (che doveva però comunque profumare di "domani") e l'antico (perchè "al di là" ormai del meccanismo stesso) penalizzando tutto quello che invece sapeva di "vecchio" e che risultava, in altre parole, tristemente superato. La logica di base era quella ovvia della rarità: più una cosa è difficile da trovare e più costa.
ANTONIO RIELLO
Oggi l'antico sembra non interessare granchè, perchè la crisi ha spinto molte famiglie, anche della buona borghesia, e svendere parte dei propri beni di famiglia per racimolare un po' di contante (normalmente esentasse) e nel contempo perchè gli usuali acquirenti a questo tipo di beni (musei inclusi peraltro) si trovano tutti comunque con seri problemi di liquidità. Il nuovo, più che interessare, in qualche modo spaventa.
Invece è il trionfo del vintage che è diventato ridicolmente costoso e sempre più spesso batte i prezzi dell' antico. Le memorie di uno "ieri" dolce e rassicurante sono il vero oggetto del desiderio. E qui a Portobello Road lo si puo' verificare con i propri occhi. La rarità non è più il solo arbitro, sembra essere piuttosto la nostalgia (e gli affetti correlati) a farla da padrona.
Se questa fosse solo una bizzarria del flea market si tratterebbe di una semplice ed innocua curiosità, la cosa rilevante che apre scenari interessanti (forse anche preoccupanti) è che meccanismi molto simili sono in azione sia nel mondo dell'abbigliamento che nel mercato dell'arte, oltre che del collezionismo in generale.
PORTOBELLO ROAD
Oggi l'arte degli anni cinquanta e sessanta rischia di fare alle aste più dei maestri barocchi. Una collettivo perdita di interesse per l'antico che sembra simbolicamente quasi associabile ad una sorta di "effetto Alzheimer" generazionale. Assistiamo di fatto, un po' sbalorditi, ad una vera rivoluzione del mercato e del gusto.
Per verificare questa osservazione ho provato in questi giorni a comperare in Italia una Fiat Panda (quella della serie 141 degli anni '80): cifre incredibili per auto a malapena funzionanti con costi paragonabili al quello di una Fiat Panda nuova di zecca e non molto dissimili dal costo di auto quasi "storiche", di miglior qualità e certamente prodotte in assai minore quantità. Quello che sembra contare dunque non è la rarità assoluta ma il desiderio nostalgico della inquieta moltitudine.
Il tempo significa ancora denaro, basta però che non si vada troppo lontano dai nostri ricordi personali o famigliari. Orson Welles era profeticamente nel giusto quando fece bisbigliare, sul letto di morte, al ricco e potente Mr Kane le parole "RoseBud". Era il nome (completamente incomprensibile e criptico per tutti quelli presenti alla sua morte) del suo slittino, quando era bambino.
tom waits a portobello road
Portobello Road Market
Portobello Road
W 11, London