Giuseppe Petrobelli per “il Fatto Quotidiano”
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Sempiterna e indistruttibile, Santa Romana chiesa sopravvive a tutto. Alle crisi di vocazioni e agli scandali sessuali, all' anoressia del popolo credente e all' anacronismo del celibato, alla crisi economica e alla Secolarizzazione. Perché? Senza velleità sociologiche, ma con buon senso, Salcher Werner da Ortisei, produttore di presepi, spiega: "Per fortuna la gente al sacro ci crede ancora. Magari a messa non ci va, ma la fede non tramonta. E sa il segreto? Basta che succeda qualcosa in famiglia e tutti corrono a pregare".
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Tutt' attorno allo stand, nell' esposizione fieristica Koinè a Vicenza, è un tripudio di crocifissi e madonne, Gesù sanguinanti, santi e papi benedicenti, calici dorati e paramenti di ogni foggia e colore. Un bazar gigantesco, la spiritualità fatta mercato, il trascendente che si oggettivizza, si materializza, diventa bene di consumo. Il riflesso commerciale dell' assoluto, banalizzazione dell' ultraterreno, esorcismo di massa, ma anche manifestazione di buoni sentimenti e sani pensieri, comunque una realtà con cui siamo a contatto tutti i giorni.
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Nel trentennale della sua attività, l' appuntamento espositivo per oggetti liturgici, edilizia del culto e turismo religioso, si trova al crocevia di una doppia crisi, religiosa ed economica. Qualcuno lo ammette: "Nel passato c' erano molti più espositori. La crisi dura da 15 anni". Il problema dell' incidenza della scristianizzazione sull' industria del sacro è reale, anche se non può non colpire il formidabile apparato che la religione è riuscita a creare.
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Protagonisti, non solo gli italiani, ma anche i polacchi, una vera potenza. Ce n' è per ogni esigenza. Nei santuari le candele puzzano? Basta rivolgersi a un brevetto irlandese, la candela che non fa fumo. Le campane causano scosse ai campanili e rischiano, in caso di terremoto, di farli collassare? Ci pensa una ditta padovana con un sistema meccanico che ammortizza pesi fino a 15 tonnellate. Un parroco è stanco dei soliti paramenti? Ci pensa padre Marek Wocik, polacco con la passione per l' arte moderna e il suo design non convenzionale.
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E poi ci sono i prodotti commerciali. Un sacchetto con 500 particole (fatte solo di farina e acqua) costa al grossista 1 euro e 90 centesimi. Beniamino Gatto, trevigiano che vive in Australia, ha le idee chiare: "Le ostie le compravamo dalle suore, a Milano. Ma costavano troppo, adesso andiamo in Polonia". Un nigeriano si è portato a casa un tabernacolo monumentale in ottone e rame, placcato d' oro, da 10 mila euro.
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Un calice costa 600 euro, un porta ostie 115, una patena 270 euro. Una statua grande di Sant' Antonio o della Madonna, in tiglio dipinto a mano, della Val Gardena, si paga anche 4 mila euro, ma per un santo da altare in vetroresina bastano 800 euro. Ma bisogna distinguere tra madonne di Lourdes (con rosario), Fatima (con pendaglio), Medjugorje o Ausiliatrice (con il bimbo Gesù in braccio).
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Il capitolo degli abiti talari è sconfinato. Una casula può costare anche 200-300 euro (prezzo da grossista, il ricarico arriva a raddoppiare la spesa). Il made in China qui non è ancora arrivato e, anche se di meno, "i prelati acquistano capi più belli e in fibre naturali", dice Elisabetta Bianchetti, titolare di una storica ditta. Per Enrico Orsini, grossista di Ascoli Piceno, "c' è un ritorno alla tonaca con 33 bottoni da parte dei giovani preti". Poi c' è il turismo religioso: nel mondo più di 300 milioni di persone (il 27 per cento dei viaggiatori) nel 2017 ha visitato un santuario o un luogo di culto. Con i suoi 1.600 santuari e 30 mila chiese, l' Italia muove un volume d' affari enorme. La novità sono le vie dei pellegrini, che ripercorre le strade dei romei. "Per fortuna si muovono in gruppi organizzati", sottolineano alla Rusconi di Lecco. "Le mete principali? Roma, Assisi e Padova". Fede o consumismo?
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"Non fermiamoci agli oggetti - risponde con severità il segretario generale della Cei, monsignor Stefano Russo - dobbiamo andare più in profondità, come testimoni di Cristo.
Solo così potremo affrontare la crisi religiosa". Quella economica si percepisce allo stand della Lauretana di Forlì, produttrice di rosari. "Con i tempi che corrono, la gente prega ancora, ma il rosario lo vendiamo soprattutto in Sudamerica e Africa". In Italia?
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"Ci salva Roma, perché è ormai diventato un souvenir".
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