Irina Slavina, rédactrice en chef d’un journal local de Nijni-Novgorod, a mis fin à ses jours vendredi en accusant le pouvoir russe. La veille, des policiers avaient fouillé son appartement. ? https://t.co/4Dfyn1oRjA pic.twitter.com/wh0Mto0Amy
— Atlantide (@Atlantide4world) October 2, 2020
Giuseppe Agliastro per “la Stampa”
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La giornalista russa Irina Slavina si è uccisa dandosi fuoco davanti al comando di polizia della sua città, Nizhny Novgorod: un gesto estremo, che potrebbe essere la tragica conseguenza di una vera e propria persecuzione subita dalla reporter per la sua attività da giornalista non allineata nella Russia di Putin.
In questi anni, tanti giornalisti e dissidenti sono stati uccisi o aggrediti in Russia. Irina si è suicidata, ma prima di farlo ha puntato il dito contro lo Stato e secondo molti osservatori rientra anche lei nella lunga lista delle vittime delle persecuzioni politiche in Russia. «Hanno fabbricato un caso penale con un'accusa politica.
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Ieri le hanno perquisito la casa, segando le porte e sequestrando i computer. L'hanno assolutamente portata al suicidio», ha commentato Aleksey Navalny, il numero uno degli oppositori di Putin adesso in convalescenza a Berlino dopo un sospetto avvelenamento per il quale gli occhi sono tutti inevitabilmente puntati sul Cremlino.
Il giorno prima del suicidio, la reporter aveva infatti denunciato che la polizia aveva fatto irruzione nel suo appartamento portando via computer, cellulari e altre apparecchiature, compresi il portatile di sua figlia e il telefonino di suo marito. Il Comitato Investigativo russo si è subito affrettato ad assicurare che Irina non si è tolta la vita per le perquisizioni.
«Non era né sospettata né indagata, ma solo una testimone» di un'inchiesta, dichiarano le autorità. Ma in Russia il passo da testimone a imputato può essere molto breve, e soprattutto un post pubblicato dalla giornalista poco prima di uccidersi pare smentire decisamente le rapide conclusioni ufficiali: «Per la mia morte incolpate per favore la Federazione Russa», aveva infatti scritto Slavina su Facebook. Irina in passato era stata condannata a pagare multe salate.
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Una volta per una battuta su internet considerata «oltraggio alle autorità», un'altra volta per aver guidato un piccolo corteo in memoria del dissidente Boris Nemtsov, freddato a colpi di pistola praticamente sotto le mura del Cremlino. Ma che cercava ora la polizia a casa sua? Secondo la reporter, «opuscoli, volantini e conti» del gruppo d'opposizione Open Russia, e si sospetta che nell'ambito della stessa inchiesta siano stati perquisiti anche gli uffici del vice presidente della sezione locale del partito d'opposizione Yabloko e di altri tre attivisti.
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Si tratta di un elemento molto importante. Open Russia è infatti un'organizzazione fondata dall'ex oligarca anti-Putin Mikhail Khodorkovsky, che ha trascorso dieci anni dietro le sbarre per una condanna che molti considerano di matrice politica e ora vive a Londra. Il ramo britannico di Open Russia è stato bollato come «ente indesiderato» ed è ora nella lista nera del Cremlino.
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«Non ho nulla a che fare con Open Russia», aveva spiegato la reporter alla testata The Insider raccontando del raid della polizia a casa sua. «Dicono che Open Russia finanzi le proteste a Nizhny Novgorod contro lo sviluppo predatorio e peggiorativo di una delle aree verdi più rappresentative della città, il Parco Svizzero», ma «la gente - aveva sottolineato Irina - va lì del tutto spontaneamente e ogni martedì forma una catena umana». Irina Slavina era la direttrice di una piccola testata online locale, Koza.Press, scriveva delle proteste e, contrariamente a molti media regionali russi, dava voce anche all'opposizione. «Come giornalista, non posso ignorare questi eventi», aveva chiarito prima di uccidersi.
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