VIDEOCAFONALINO - BARCA COL CAZZO CHE SI IM-BARCA SULLA SCIALUPPA DI VENDOLA

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Video di Veronica Del Soldà
Foto di Luciano Di Bacco
Testo di Francesco Persili

«Non ho apprezzato il tuo tweet pro Rodotà, ad iniziare dai tempi». Quando Fabrizio Barca arriva nel circolo Pd di via dei Giubbonari per discutere del suo manifesto si trova a registrare il dissenso della segretaria Giulia Urso che rimprovera al ministro «neo-iscritto» il suo endorsement a favore del giurista. E non solo per ragioni di cuore chè «questo era il circolo di Napolitano» ma per una valutazione politica su re Giorgio, «la migliore soluzione possibile, in questo momento, per l'Italia».

Su una parete le foto di Gramsci, Jotti e Berlinguer, Moro e Scoppola, dentro e fuori la sala militanti e iscritti a chiedersi: cosa sarà del Pd? Gli occhiali sul naso e l'inseparabile cartellina sul tavolino rosso, Barca si prepara ad illustrare le 50 pagine del suo "che fare?" sotto il logo del Pd Centro Storico: «Non è un programma politico, piuttosto una memoria di convincimenti», spiega ad una platea che tradisce smarrimento ed esigenze insoddisfatte ma reclama a tutta forza una «rifondazione democratica» in cima ai 5 giorni che hanno sconvolto il partito.

Le mediazioni verbali sono sempre più ostiche, le obiezioni diventano ruvide. L'ex ministro Bianchi tuona contro chi ha «mandato allo sbaraglio» Prodi e spara a palle quadre contro quei «cento cretini» che hanno affossato la sua candidatura: «Ciò che è successo è di una gravità inaudita, il gruppo dirigente ha fatto bene a presentare le sue dimissioni».

Il discorso scivola sulla direzione del partito e Bianchi ipotizza una reggenza «tecnica» per salvare un partito ridotto a un campo di Agramante in cui ciascuno fa ciò che gli pare. «Basta con le divisioni interne», un giovane militante chiede l'apertura di una «nuova fase» e si dice pronto a votare il ministro della Coesione.

«Ma questo non è l'inizio della campagna elettorale di Barca, né di quella congressuale», si affretta a chiarire la segretaria del circolo, già attrice nel Dago-film Mutande Pazze, prima di lasciare la scena al figlio di Luciano Barca, che fu dirigente del Pci e direttore dell'Unità e Rinascita. Fabrizio è un rampollo dell'aristocrazia rossa, studi all'estero e una formazione tra Fgci e Bankitalia. Un «Ciampi boy» o un «Monti di sinistra» che postula «un partito nuovo per il buon governo» a colpi di «sperimentalismo democratico» e «mobilitazione cognitiva diffusa».

Barca scolpisce la sua idea di «partito palestra» e mette in guardia dalla «fratellanza siamese» tra la «arcaica macchina dello Stato» e «i partiti stato-centrici», altrimenti detta «catoblepismo», che non è una versione dotta della supercazzola del conte Mascetti ma una citazione del banchiere di sistema Mattioli.

Quello che De Andrè non avrebbe esitato a definire un collezionismo di parole complicate per l'ex sottosegretario Brutti è, invece, un «linguaggio articolato» che aiuta a ricostruire «sentimenti unitari» e suggestioni gauchiste: «Ma è possibile che in tutto il mondo ci sia una forza di sinistra, e in Italia, no?».

A chi derubrica il suo manifesto a «tecnocrazia partecipativa», Barca ribatte teorizzando un partito «che non sia un pensatoio o una lobby» ma un luogo per «imparare e influenzare, incontrarsi e discutere». Barca mena fendenti sulle classi dirigenti di "rentiers" che bloccano il Paese e non si scompone davanti alle critiche sul governo Monti («ha salvato il Paese ma non ha ben governato per colpa dei partiti stato-centrici che hanno precluso qualsiasi possibilità di dialogo con la società»).

Ricorda come esempio di amministrazione trasparente i progetti sul portale OpenCoesione, tra i cavalli di battaglia di Renzi durante la campagna delle primarie ma, poi recupera un Berlinguer del 1977 sull'austerity «come occasione per trasformare l'Italia» e un carteggio Brandt-Kreisky-Palme sulla socialdemocrazia. Blair no, non riesce proprio a farselo piacere.

L'economista che ama la montagna richiama ogni due per tre Amartya Sen, il suo concetto di «identità molteplice» e l'incontro fra la cultura socialista, cattolica e liberale a fondamento del Pd e suggerisce un «metodo» per (ri)costruire un «partito di sinistra».
Exit strategy o voglia di cambiare dall'interno il Pd? «Non mi sono iscritto per andarmene dopo 5 giorni, se faccio una cosa del genere, piuttosto me ne vado in Patagonia». Ma la scissione esorcizzata da Barca come una «jattura», «una lettura forzata», «qualcosa di improbabile» è uno spettro che torna ad agitare il Pd.

Ad ascoltare il ministro e a chiedere più sinistra nel Pd ci sono anche Laura Puppato e "Pippo" Civati contrario alle larghe intese e deciso più che mai a dare battaglia in direzione e al congresso. Dopo aver attaccato nel suo blog «i traditori» di Prodi («attenzione: potresti ritrovarveli come ministri»), l'ex Rottamatore è finito nella black list democratica e più di un dirigente lo vorrebbe fuori dal partito. «Più che scinderci, se continuiamo così, rischiamo di estinguerci...».

Intanto Barca tesse l'elogio di «un Pd in cui non ci confronti liberamente», accetta le critiche per l'appoggio a Rodotà che incontrerà il 30 aprile in una manifestazione a Bologna organizzata dalla Fiom con Cofferati, Landini, Vendola. A quanti pensano che quell'incontro possa essere l'embrione di un nuovo partito laburista, il ministro oppone una rinnovata convinzione nei confronti del progetto democratico: «Quindici mesi fa non pensavo che il Pd avesse un futuro, oggi, nonostante tutto, sì». Correrà per la segreteria del Pd? «Per il momento corro solo a presentare il mio documento». Resterà anche in un Pd guidato da Renzi? «Nessuna divisione: questo è il mio partito». La prossima montagna che Barca si prepara a scalare?

 

 

Pippo Civati Massimo Brutti Laura Puppato In attesa di Barca Fuori dalla sezione per ascoltare Fabrizio Barca Laura Puppato Fabrizio Barca arriva alla sezione di via dei Giubbonari Fabrizio Barca arriva alla sezione di via dei Giubbonari Fabrizio Barca arriva alla sezione di via dei Giubbonari Fabrizio Barca arriva alla sezione di via dei Giubbonari Civati intervistato