DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Federico Ercole per Dagospia
C’è Aerith, la Fanciulla dei Fiori, che si emoziona di fronte al vasto panorama verdeggiante di una prateria, “siamo finalmente liberi” dice con quella dolcezza infantile, forse solo una disperata ma riuscita finzione, che rende il suo personaggio di giovane donna così alieno alla tragedia e alla catastrofe definitiva. Si apre quindi, dopo un prolungato preludio nel passato dalla romantica drammaticità del Frankenstein di Mary Shelley, quello che sarà il lunghissimo viaggio di Final Fantasy VII Rebirth per Playstation 5, secondo episodio del rifacimento e variazione della più che amata settima fantasia finale uscita nel 1997 per Playstation.
La prima parte di questa fantasia sulla fantasia uscì durante l’aprile del 2020, in pieno “lockdown” da Covid e risulta difficile non leggere nel sentimento di anticipazione di Aerith, nella sua volontà di muoversi verso nuovi orizzonti, un’allusione verso il superamento del trauma di quei mesi malati di chiusura che trascorre da chi ha scritto il videogame a chi lo gioca. Non c’è dunque solo il sollievo di Aerith nell’abbandonare i ghetti senza luce della metropoli di Midgar dove si svolge la “puntata precedente”, una ricca città edificata nell’empireo che proietta la sua ombra sulle catapecchie di sotto mentre enormi reattori prosciugano l’energia vitale del pianeta per garantire il benessere di aristocrazie, capitalisti, militari e borghesie.
Così anche questo Final Fantasy risulta, in maniera ancora più estrema e persino più poetica del sedicesimo e dell’originale, una riflessione sul nostro presente disperato e sguaiato insieme, dove i paradisi turistici e i quartieri di lusso per i milionari sono edificati sulle ceneri di un mondo che si estingue, che alimenta sanguinari ma profittevoli conflitti, paradisi dorati ricettacolo delle bieche risate, del vizio e della prepotenza di chi può permettersi ancora per qualche tempo di ignorare la fine o addirittura sperare di eluderla.
Malgrado la gravità del tappeto narrativo, e si tratta di uno dei motivi che rende rende il gioco in questione un’opera d’arte che come tutti i videogame più grandi trascende il medium d’appartenenza, Final fantasy VII Rebirth (così immenso nella sua spazialità e varietà) risulta spesso comico e di una tenerissima bizzarria. L’epica si confonde con l’amorevolezza in un equilibrio mirabile, la tragedia con il buffo.
E in questa preziosa fusione di toni e stati emozionali ed estetici, Final Fantasy VII riesce inoltre a mantenere sempre un valore ludico, a proporre sfide giocose di ogni genere non solo durante le sempre straordinarie e complesse battaglie, ma lungo tutta la sua evoluzione, fino ad un finale che farà discutere e che potrà offendere chi non apprezza le derive non canoniche di Nojima e Nomura come già accaduto per quello del primo episodio, ma che alimenta oltre ogni modo l’attesa della terza futura e conclusiva parte. Ci vogliono più di cento ore per completare Rebirth in ogni sua possibilità ma se ne vorrebbero ancora di più, subito di più.
IN VIAGGIO PER LA SALVEZZA DEL PIANETA
Risulta assai difficile sintetizzare ciò che offre Final Fantasy VII Rebirth in termini di contenuti ludici, artistici ed emozionali. Ad un certo punto ci si imbatte in una missione secondaria dove bisogna raccattare il pollame fuggito ad un’anziana allevatrice di un villaggio (ancora) ameno ma non immaginate di farlo con la scioltezza ed immediatezza di Link in tante leggende di Zelda; ecco, si potrebbe scrivere un saggio solo per questa piccola, opzionale attività. Final Fantasy VII Rebirth è un gioco di ruolo che armonizza innumerevoli altri giochi così come la sua trama fa con i toni del racconto, tantissimi mini-game spesso irresistibili che si aggiungono ad un sistema di combattimento in tempo reale spettacolare quanto tattico che costringe chi gioca a “muoversi” da un personaggio all’altro, se vuole sopravvivere agli assalti di un bestiario di creature finalmente di nuovo vasto e vario.
Si gioca a carte, si gareggia con le pennute cavalcature dette chocobo, si nuota con un delfino, si combatte in un’ancestrale forma poligale che rimanda all’originale del ‘97 durante una simulazione strategica , si raccolgono funghi delicati nel tentativo di non romperli, si risolvono puzzle, si suona il pianoforte (attività favolosa), si vola su un’astronave in un videogioco nel videogioco, si inseguono i “pucciosi” ma in fondo terribili cuccioli degli orsetti volanti Moogle per riportarli ai genitori...
E intanto si esplorano zone vastissime nella forma aperta di un “open world” dove si raccolgono risorse e tesori, si trovano attività secondarie ulteriori che premiamo con risorse sempre utili, si ascoltano nuove storie. E i panorami sono bellissimi da ammirare e da navigare, selve, giungle, paludi, deserti. Villaggi e città possiedono inoltre una vitalità che è raro trovare in altri giochi di ruolo o d’avventura, sono vissute dai loro abitanti che non sembrano scenografici manichini ma “persone”.
La colonna sonora risulta eccezionale anche quando non si affida ai sublimi temi storici composti dal maestro Nobuo Uematsu, e scivola in strani ma divertenti motivetti pop o nel suono vegetale e animale di una natura offesa ma magnifica.
NUOVA MITOLOGIA
I personaggi di Final Fantasy VII originali sono trascorsi già dall’inizio in una dimensione mitica, così come la storia raccontata dal gioco; quindi esperendo Rebirth è inevitabile pensarli come quelli della mitologia ellenica che tornano nei secoli in narrazioni e opere diverse, o come quelli de La Chanson de Roland. Quindi è giusto, malgrado i capricci reazionari, che la storia per quanto sia quasi sempre rispettosa dell’intreccio da cui deriva, tenda a mutare, a sovvertire le aspettative e non solo per preservare l’unicità e il valore del videogame del ’97 così da non sostituirlo. I grandi personaggi sopravvivono al loro contesto, trovano altre storie, vanno sempre alla deriva.
Il tormentassimo Cloud, la combattiva e bellissima Tifa, il bestiale mutante canino Red XIII, l’esuberante ragazzina ninja Yuffie, il ribelle ma sofferente Barret, la già citata Aerith, il folle e micidiale Sephiroth. Inoltre grazie al disegno meraviglioso di Nomura e Ferrari anche i personaggi secondari e le mere comparse hanno un disegno unico e particolare che li caratterizza e li distingue. Viaggiare con questi personaggi, essere questi personaggi rende quest’avventura un romanzo corale e insieme intimo, affettuoso mentre si alimentano lo sgomento e l’odio per nemici dalla terribile malevolenza e perfidia.
Per apprezzare al meglio la vitalità di questi personaggi è consigliabile giocare con la lingua in giapponese (e i sottotitoli in italiano), perché il lavoro degli attori è davvero encomiabile. Si segnala, almeno nella versione in anteprima qui analizzata qualche mai drammatica imperfezione nel comparto tecnico, in via di risoluzione tramite correzioni aggiuntive; tuttavia queste, ed è importante ribadirlo, non hanno penalizzato in nessun modo l’esperienza di gioco e la sua bellezza totale.
Gioco di ruolo giapponese esemplare, uno dei migliori mai realizzati per poetica, giocosità e significati, Final Fantasy VII Rebirth acquista un valore ulteriore se accostato al primo episodio e se lo si pensa in una prospettiva futura, ossia concluso nella sua forma di trilogia, perché potrebbe diventare “il videogame definitivo”, la conferma di un nuovo mito, come quell’Iliade che raccolse i canti degli Aedi sulla già leggendaria guerra di Troia per sopravvivere per sempre come capolavoro assoluto e immortale.
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