DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
Federico Ercole per Dagospia
Oggi, giorni durante i quali quel capolavoro sull’estinzione umana che fu The Last of Us torna in un rifacimento per Playstation 5, c’è un lessico famigliare con l’apocalisse, una dialettica quotidiana che non sembra nemmeno più isterica o terrorizzata come dovrebbe essere.
La fine del mondo non è solo più un’ipotesi, un evento possibile ma remoto, ma qualcosa di accettabile, vicino in una maniera oscena e intima al vivere di ogni essere umano, tanto che parrebbe di essere nel film Don’t Look Up con gli stessi squallidi attori del potere (veri e non bravi come quelli del film), salvo che al posto del meteorite ci sono pandemie, guerre al limite di trasformarsi in mondiali, crisi climatiche in accelerazione, minacce nucleari, fame, miseria, gelo.
Non che il 2013, quando The Last of Us uscì per la terza console domestica di Sony, fosse stato un anno idilliaco, anzi: c’erano guerre e stragi continue ma in Africa, Nord Africa e Medio Oriente, quindi remote e più “accettabili” da un disinteressato occidente; il tifone Hayan causava oltre diecimila morti nelle Filippine ribadendo l’ira di un clima già mutante; profughi e migranti morivano in massa bruciati o affogati; la Nord Corea minacciò l’utilizzo di bombe nucleari.
Eppure allora c’era ancora un’apparente distanza tra la fine della nostra specie e il presente, tanto che “giocare” in un mondo dove un parassita fungino mutato (l’esistente Cordyceps) fa il salto di specie dagli insetti all’umanità, infettandone la maggior parte e trasformandola in mostri furiosi, risultava persino liberatorio. Così nel vivere quest’opera di Naugthy Dog così lontana dalle vertigini avventurose di Uncharted alimentava riflessioni leopardiane sulla natura bellissima, distante e crudele, oltre che la gratificazione ludica derivata dall’esperienza di un’epopea esaltante malgrado la sua durezza.
Adesso è tutto diverso e non solo perché il videogioco in questione è stato ristrutturato in maniera drastica ed efficace per adattarlo a Playstation 5, sebbene non cambi nulla della sua comunque già grande storia, ma per due motivi fondamentali, le suddette nubi nere di una possibile apocalisse e il fatto che, almeno per chi già lo visse all’epoca, sia uscito nel 2020 The Last of Us Parte II su Playstation 4, cosicché già si conosce il fato di quei personaggi, si colgono le ombre sinistre del loro futuro elettronico e e ciò che allora già ci risultò grave, nelle loro miserabili, tragiche vicende di sopravvissuti, ora lo è ancora di più, cosicché in alcuni momenti di “gioco”, quelli più lirici e dilatati nelle emozioni invece che nelle azioni, il peso dei drammi a venire diviene straziante.
Anche la violenza si fa a tratti insostenibile e sempre meno videoludica, perché siamo a conoscenza delle sue estreme conseguenze, sebbene quest’efferatezza come nella Parte II non risulti fine a se stessa e sia usata con arte per farci disgustare, per indurci a condannare e rifiutare la violenza stessa, come il trattamento a cui è sottoposto il protagonista di Arancia Meccanica (scrissi già qui a proposito del secondo The Last of Us).
Insomma esperire ora The Last of Us (non riesco ad immaginare le emozioni di chi lo vivrà adesso per la prima volta) risulta assai più doloroso e formativo di quando uscì nella sua prima veste, così questo “remake” che è fondamentalmente un’operazione commerciale e ludico-estetica per allineare le due parti di videogiochi, diventa qualcosa di necessario suo malgrado, un involontario monito.
FULGORI D’ORRORI
E’ vero, considerato che esiste già un’ottima versione masterizzata per Playstation 4 di The Last of Us, il prezzo di 80 euro a cui è venduto questo “remake” può apparire eccessivo soprattutto in un momento di grave crisi economica, sta a voi decidere se acquistarlo subito o attendere che inevitabilmente scenda di prezzo. Inoltre uscirà prossimamente anche su PC, immagino non alla stesso costo.
Tuttavia il lavoro di rifacimento svolto da Naughty Dog è superlativo nel riproporre panorami già visti e arricchirli oltre modo di dettagli e illuminazioni, così come quello nel rimodellare i corpi dei personaggi e dei nemici. Tutto risulta più bello e spaventoso, più vero, e l’intelligenza artificiale degli antagonisti mostruosi e umani è stata assai migliorata, proponendo sfide impegnative ma solo a chi le desidera, perché come già nella seconda parte sono state qui inserite innumerevoli opzioni di gioco affinché questo sia davvero inclusivo con il suo vario pubblico.
Il viaggio di Ellie e Joel non è cambiato nel contenuto ( e neppure la sua straordinaria colonna sonora) come invece siamo cambiati noi che viaggiamo in/con loro ma risulta potenziato nel generare sentimenti, emozioni estetiche, sorprese ludiche generate da variazioni dell’immagine, del movimento, della giocabilita’ che non sono drastiche, solo funzionali, come l’utilizzo delle vibrazioni e delle resistenze del controller Dual Sense.
Sebbene abbia già giocato diverse volte The Last of Us, mai ho percepito la noia del già visto, giungendo emotivamente impreparato, quasi come fosse la prima volta, ai climax del videogame, ai momenti che ricordavo con più piacere e soprattutto dolore. Il viaggio in automobile con “alone and forsaken” di Hank Williams, la caccia al cervo tra la neve, l’esplodere violentissimo della rabbia di Ellie, le giraffe...
CAPOLAVORO DELLA FINE
Nella sua nuova veste ancora più realistica è necessario ricordare e consigliare a chi gioca di correre nel gioco solo quando necessario, quando si fugge quindi, altrimenti di camminare, di muoversi lenti, non solo per mirare i panorami o sopravvivere ai nemici, perché deambulare vispi trotterellando per le ambientazioni se non serve provoca un senso di irrealtà, persino di comicità.
Si è abusato negli ultimi venti anni di racconti, cinema, fumetti, videogiochi e televisione a sfondo apocalittico con zombie o pseudo-zombie. The Last of Us non fa parte di questo trito insieme, sconfinando dal suo medium e risultando l’opera di genere più interessante, ispirata, politica e riuscita dopo l’ultimo film del purtroppo troppo presto scomparso George Romero, un’opera che non è inoltre irriverente collocare per lirismo, crudezza ed epica tra i capolavori della letteratura sulla fine come come I’am a Legend di Richard Matheson, L’ombra dello Scorpione di Stephen King, Swan Song di Robert MacCammon.
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