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    PENE E PENATI: PAOLA SEVERINO SBUGIARDATA DALLA “REPUBBLICA”


     
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    Lettera di Paola Severino a "La Repubblica"

    Caro Direttore, vorrei in primo luogo esprimere gratitudine a lei e al suo giornale perché da sempre seguite con serietà le vicende legate alla legge anti-corruzione e oggi in particolare per aver posto con grande tempestività un problema interpretativo in materia di concussione, fonte di possibili equivoci.

    Paola SeverinoPaola Severino

    Confesso che non sarebbe stata mia intenzione intervenire nel dibattito pubblico essendo convinta che, come già accaduto in questi mesi, il confronto in sede scientifica e applicativa avrebbe fatto chiarezza sui diversi profili.

    NORDIO CALTAGIRONE SEVERINONORDIO CALTAGIRONE SEVERINO

    L'inconsueta durezza di alcuni articoli apparsi negli ultimi giorni mi impone, tuttavia, di replicare a chi ha paventato possibili «guasti» connessi alla riforma dei delitti di corruzione. Alcuni di quegli articoli, in particolare l'intervista a Piero Grasso (nei confronti del quale, come egli ben sa, ho sempre nutrito sentimenti di stima), potrebbero portare ad addebitare alla nuova legge, alla compagine parlamentare che l'ha approvata a larga maggioranza e al governo che l'ha fortemente sostenuta, eventuali esiti favorevoli di processi a carico di imputati "illustri".

    Il tema può essere da me affrontato solo sul piano tecnico. Nell'interpretare la fattispecie di concussione per induzione si propone una lettura della norma che potrebbe offrire spunti per escludere dall'ambito del reato l'induzione in errore ad opera del pubblico ufficiale, mentre la precedente avrebbe impedito tale esclusione. Mi pare che sin qui la Corte di Cassazione abbia nitidamente affermato l'assoluta continuità tra la vecchia concussione per induzione e la nuova induzione indebita, sottolineandone l'identità strutturale nonché la coincidenza di significato giuridico.

    CASINI BERSANI ALFANOCASINI BERSANI ALFANO

    D'altra parte, al comune lettore basterà confrontare il vecchio testo dell'articolo 317 del codice penale con il nuovo testo del 319 quater per concludere che entrambi puniscono l'identica condotta del pubblico ufficiale che induce il privato a dargli o promettergli denaro o altra utilità. Ed allora, delle due l'una: o la vecchia figura di reato, così come la nuova, includeva già l'induzione in errore come possibile condotta criminosa, ovvero entrambe la escludono.

    MASSIMO GIANNINIMASSIMO GIANNINI

    Interpretare una norma penale è sempre attività difficile, suscettibile di vari epiloghi. Quel che conta è accingersi a tale compito con serenità, senza pregiudizi e senza trascurare che una variabile non indifferente per la soluzione di ogni caso è rappresentata dalle caratteristiche specifiche del fatto.

    Il Parlamento e il governo, in un contesto non semplice, mi pare abbiano offerto una prima importante risposta al tema del contrasto alla corruzione, cercando di allineare il nostro Paese agli standard europei, inasprendo le pene per la corruzione, introducendo - con molte difficoltà troppo spesso dimenticate - nuove fattispecie di reato.

    Così come credo non vada trascurato che le altre proposte di riforma o gli emendamenti presentati al disegno di legge anti-corruzione erano nel senso della totale eliminazione della concussione, ipotesi queste che avrebbero sì avuto significativi riflessi, azzerando tutti i processi in corso. Dei progressi compiuti l'Ocse ci ha già dato atto e su tutto ciò spero che continui una seria riflessione. Come ho sempre ribadito, altri passi andranno ancora compiuti per completare il disegno di lotta alla corruzione avviato in questi ultimi mesi.

    Per queste ragioni ho istituito presso il Ministero due gruppi di studio in tema di autoriciclaggio e prescrizione che a breve completeranno i lavori. Mi pare debba essere questa la via per rivedere l'attuale, contestato regime della prescrizione creando un meccanismo che offra parimenti garanzie all'azione di accertamento dei reati e ai diritti dell'imputato di vedere celebrato il processo.

    Credo che tutti dovrebbero concordare che la strada maestra per lasciarsi alle spalle le polemiche del passato sia la riscrittura della disciplina della prescrizione. La soluzione non può invece certo essere quella, tecnicamente scorretta ma direi anche sostanzialmente ingiusta, di calibrare le pene di una fattispecie criminosa guardando solo agli effetti su singoli processi pendenti. Non smetterò mai di pensare - sarà forse ancora una volta lo spirito dello studioso a prevalere - che gli unici parametri di una pena giusta siano il disvalore del fatto e l'equilibrio complessivo del sistema di disciplina.

    bersani casinibersani casini

    Quanto a me, come si sa, sono un ministro che proviene dalla vita civile (come molti dei componenti dell'attuale governo e come moltissimi dei parlamentari della nuova legislatura) e che ritornerà alla vita civile. Ho vissuto come un onore il fatto di poter servire il mio Paese in questo difficile momento e ho sempre avvertito forte la responsabilità del mio impegno.

    Non spetta certo a me esprimere giudizi sul mio operato e su quello del governo. Nell'interpretare questa mia straordinaria e difficile esperienza ho sempre avuto come riferimento lo sguardo dei miei studenti. Di una cosa sono sicura: al mio ritorno potrò guardarli dritti negli occhi senza mai, in coscienza, dovermi rimproverare di aver ceduto a logiche di scambio.

    Con la pacatezza che ha sempre contraddistinto il mio agire, ma con la tenacia che connota il mio carattere, continuerò a spiegare le scelte che, pur su argomenti difficili da rendere comprensibili a tutti, sono state fatte in materia di giustizia, cercando continuamente il dialogo con un Parlamento che per anni, proprio su questa materia, era stato bloccato da forti e insuperabili contrasti.

    (L'autrice è ministro della Giustizia)

    2- LA RISPOSTA: LE CONTRADDIZIONI DEL MINISTRO

    Massimo Giannini per "La Repubblica"

    Ringraziamo il ministro della Giustizia. La sua lettera è ampia e argomentata. Ma in tre cartelle di testo, Paola Severino non risponde all'unica domanda che conta: per quale motivo ha ritenuto di dover modificare l'impianto del reato di concussione, e di ridurne l'apparato sanzionatorio? Detto più brutalmente: chi e perché - nel governo Monti o nella coalizione Alfano- Bersani-Casini - ha sentito il bisogno di "spacchettare" il reato in due fattispecie distinte, e di abbassare da 12 a 8 anni la pena prevista per il caso di "indebita induzione"?

    Di fronte a questo banale interrogativo il ministro parla d'altro. Sostiene che la "pena giusta" va stabilita in funzione del "disvalore del fatto". È una spiegazione inquietante. Il dilagare dei fenomeni corruttivi (con i relativi procedimenti penali a carico di altrettanti politici) è sotto gli occhi di tutti. Nonostante questa evidenza, il ministro decide di attribuire meno "valore" al reato di "induzione", riducendone incomprensibilmente la pena e trattando questa fattispecie (comunque una delle più gravi tra quelle contro la Pubblica Amministrazione) alla stessa stregua di un furto in un supermercato o in un appartamento.

    È con queste scelte contraddittorie che si può parlare di "uno storico passo avanti nella lotta alla corruzione"? Non è tutto. Il ministro afferma che sarebbe "scorretto" calibrare le pene di una fattispecie criminosa "guardando solo agli effetti su singoli processi in corso".

    Giusto: ma una cosa è guardare "solo" a questi effetti, altra cosa è non guardarli "affatto". Di fronte ai ripetuti allarmi del nostro giornale, la Severino (e con lei autorevoli esponenti del Pdl e anche del Pd, da Orlando a Ferranti) hanno sempre ostinatamente negato che la nuova legge avrebbe avuto ripercussioni sui processi pendenti.

    Ora, proprio a partire dal caso Penati, scopriamo che è vero l'opposto. Qui sta la grande responsabilità politica di chi ha voluto una legge anti-corruzione così illogica e inadeguata. Per evitare tutto questo, Repubblica aveva raccolto 300mila firme. Ma non siamo stati ascoltati. Prima di scriverla e di difenderla a spada tratta, il Guardasigilli aveva il dovere di valutare quali effetti avrebbe avuto la "sua" riforma. Non l'ha fatto. E per qualche ragione non l'ha fatto nemmeno la "strana maggioranza" di allora. Oggi ne paghiamo le conseguenze.

     

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