gabriele e vincenzo paparelli
"Mio padre era armato solo di pane e frittata". Così Gabriele Paparelli, il figlio di Vincenzo, nel corso della trasmissione I Lunatici del weekend in onda su Rai Radio 2 e condotta da Pippo Lorusso e Roberta Paris. "Mio padre era un semplice tifoso, operaio di quegli anni, aveva un’officina meccanica, quindi era un semplice tifoso che non andava allo stadio a fare casino.
Eravamo la classica famiglia italiana di quegli anni, papà adorava il suo lavoro e lavorava tutta la settimana, con una passione enorme per la Lazio. Per lui la domenica era una sorta di premio che si prendeva per poter andare a seguire la sua amata Lazio. Era un semplice operaio che stava mangiando un panino con la frittata accanto alla moglie, aspettando di vedere un derby. Purtroppo è accaduto quello che nessuno avrebbe mai potuto immaginare".
vincenzo paparelli
Sul 28 ottobre 1979: "Quando il destino si accanisce non puoi scappare, quel giorno noi dovevamo andare al paese, siamo di Valmontone, capitava che andavamo tutti quanti per fare questi bellissimi megapranzi. C’era questo derby ma pioveva, allora papà decise di rinunciare alla partita e venire con noi al paese. Purtroppo è uscito un raggio di Sole e papà, laziale come era, ha preso subito la palla al balzo e decise di andare allo stadio. È andato tra le lacrime mie che volevo assolutamente andare con lui, avevo 8 anni ma ero abituato ad andare allo stadio con lui, andavamo tutta la famiglia. Invece mi disse che in quell’occasione sarebbe potuto essere pericoloso e che mi avrebbe portato la prossima volta. Non avevamo mai visto dei derby insieme, sempre partite abbastanza tranquille. Posso dire che quella volta mi ha salvato la vita. Viene il magone proprio perché non si riesce a concepire la violenza all’interno di uno stadio, quindi lì ci fu un cambiamento radicale nel mondo del tifo, degli ultrà, delle certezze che si sono perse all’improvviso per chiunque.
paparelli delitto
Conosco tante persone che da quel giorno non sono più andate allo stadio, quindi è cambiato totalmente il mondo dello sport perché non è possibile che si muoia addirittura dentro lo stadio. Purtroppo non ho mai potuto “godermi” in santa pace la morte di mio padre, so che è una cosa forte però una persona nell’intimità cerca di sopperire i dolori e li tira fuori soltanto quando vuole. La perdita di un genitore è sempre un dolore forte, però poi sentire o leggere sui muri insulti rivolti a tuo padre, cori allo stadio, è diventato un incubo perché non siamo stati più padroni di vivere tranquillamente la morte di mio padre.
Ogni giorno dovevamo combattere con una scritta, al punto che io giravo sempre con la mia bomboletta sotto al motorino per cancellarle perché se mia madre le vedeva era la fine della giornata. In questi anni durante le ricorrenze ho ricevuto anche tanto affetto, da Milano, Palermo, ho ricevuto tanti messaggi d’affetto e questo in qualche modo ti ridà la forza e ti ripaga il dolore che subisci. In primis i tifosi della Lazio, che per me sono diventati una seconda famiglia perché mi hanno sempre sostenuto da 40 anni a questa parte".
scritte contro paparelli
E sulla figlia: "Vado pochissimo allo stadio, se posso farne a meno preferisco perché purtroppo si è sviluppata una certa fobia nei confronti dello stadio. Adesso però ho una bimba piccola che vuole andare allo stadio e sto cedendo, stiamo studiando una prossima partita tranquilla di pomeriggio e le ho fatto una mezza promessa che forse l’accompagno. Ancora è piccola per affrontare la storia del nonno, cerco sempre di tenerla fuori da questi discorsi. Lei è andata allo stadio con il nonno materno e ha visto una bandiera con il volto di mio padre, allora mi ha chiesto del perché nonno Vincenzo fosse sulla bandiera, come faccio a spiegarglielo? Lei non sa ancora come sono andate le cose. Le rispondo che era un tifoso speciale della Lazio, tutti quanti gli volevano bene e lo ricordano così perché era un grande tifoso. Ogni volta che inquadrano la Curva Nord lei va a cercare quella bandiera".
PAPARELLI E LA MORTE CHE OSCURO' IL CANDORE DEL CALCIO
vincenzo paparelli delitto
Il 28 ottobre 1979 il calendario della Serie A prevede i derby di Milano e Roma. Alla vigilia l’attenzione è inevitabilmente più focalizzata su Inter-Milan, che oppone la capolista nerazzurra contro i campioni in carica rossoneri. Roma e Lazio sono più indietro in classifica: il Derby della Capitale non è ancora riuscito a ritagliarsi lo spazio mediatico conquistato solo negli anni successivi. Vincenzo Paparelli, 33 anni, di professione meccanico, è un uomo come tanti: marito, padre, tifoso della Lazio. È una domenica autunnale, piove. Una di quelle domeniche da dedicare alla famiglia.
Poi, all’improvviso, esce uno sprazzo di sole e Vincenzo viene inesorabilmente attratto dall’idea di andare allo stadio a vedere il derby. Solita routine: si esce di casa, si arriva allo stadio, si entra, si trova un posto. E, nella lunga attesa che separa lui e la moglie dall’inizio della partita (in curva Nord non ci sono i posti numerati), dopo aver letto qualche pagina di giornale addenta il pasto frugale tipico dell’occasione: un panino con la frittata.
gabriele e vincenzo paparelli
Quelle attese erano fatte così: interminabilmente lunghe, noiosamente statiche, non ancora consumate dalla velocità zippata portata quarant’anni dopo dal mondo dominato dai cellulari. In quell’atmosfera quasi sospesa, impressionisticamente punteggiata da un boccone di cibo, una chiacchierata col vicino di posto occasionale e qualche sigaretta, dalla curva Sud parte un razzo che sorvola tutto il campo di gioco e chiude la sua traiettoria nel pieno viso di uno di quei tifosi che sta dribblando il tempo che lo separa dall’inizio della partita.
scritta romanista per la morte di paparelli
Quel tifoso è proprio lui, Vincenzo Paparelli, che non ha nemmeno il tempo di capire che la partita della sua vita sta per finire così, diretta inflessibilmente da un arbitro che applica un regolamento incomprensibile. La scena è cruenta, il panico si diffonde velocemente.
La moglie di Vincenzo,Wanda, prova disperatamente a estrarre dall’occhio del marito quell’oggetto incandescente, che la ustiona. La corsa all’ospedale è inutile e disperata, consumata tra paura, preghiere e dolore. Paparelli non ce la fa, lasciando la famiglia da sola a combattere la guerra della vita, fattasi all’improvviso terribilmente difficile.
Quel giorno la tesi per la quale il mondo del calcio vive in un’isola felice, incontaminata dalle influenze della società, veniva clamorosamente sconfessata. Un atto scriteriato, che portava con se gli echi disordinati di un concetto improprio del tifo, risuonò violentemente dentro l’Olimpico di Roma, portando il clima che si respirava per le strade del Paese all’interno di uno stadio di calcio. In quegli anni l’Italia viveva i suoi tormenti dilaniata dalla lotta politica extraparlamentare che si consumava nella violenza spesso omicida degli anni di piombo.
Vincenzo Paparelli morì in un luogo che avrebbe dovuto essere un sacrario della gioia di vivere proprio come giudici, politici, imprenditori e forze dell’ordine perivano nei luoghi dove quotidianamente si recavano per lavorare. Attività ordinarie potevano trasformarsi in tragedie senza la possibilità di poterle prevedere.
“Quel razzo ha distrutto la mia famiglia” ha dichiarato recentemente al Corriere della Sera il figlio di Paparelli, Gabriele, la cui vita è stata segnata per sempre da quello sconvolgente episodio. Come sconvolgenti sono le scritte comparse negli anni successivi a Roma che, in un misto di stupidità e barbarie, rievocano quella morte: ”Leggere sui muri ‘10-100-1000 Paparelli’ è stata la maledizione della mia vita. Quando mi capita di vederle, corro a coprirle” il commento avvilito di Gabriele a quelle iscrizioni oscene. La cronaca esige che si parli anche di Giovanni Fiorillo, il diciottenne disoccupato che sparò quel razzo dalla curva Sud: rimase latitante per 14 mesi prima di costituirsi.
Nel 1987 la Cassazione lo condannò definitivamente a sei anni e dieci mesi di reclusione per omicidio preterintenzionale: aveva sempre giurato che quel giorno non aveva intenzione di uccidere nessuno. Ma dal 28 ottobre 1979 andare allo stadio non fu più la stessa cosa.
vincenzo paparelli targa