Estratto dell'articolo di Marco Bonarrigo per il “Corriere della Sera”
Jonas Vingegaard
In quindici giorni di Tour, provetta dopo provetta, i vampiri federali hanno prelevato a Jonas Vingegaard cento millilitri di sangue e due litri di urina. I primi campioni sono già stati analizzati a Parigi e Colonia (nulla da segnalare), gli ultimi lo saranno entro mercoledì.
Tutti i dati sono stati inseriti nel passaporto biologico, tutte le provette congelate e conservate per dieci anni, a futura memoria. La sua Cervélo S5 è pedinata fin dalla partenza da Bilbao e dopo l’impresa del Col de La Loze è stata bombardata da onde magnetiche, esplorata da un endoscopio, sottoposta ai raggi X e poi smontata alla presenza di fotografi e tv perché non si dica che i giudici fanno le cose di nascosto: nessuna traccia di motori o dispositivi di assistenza alla pedalata.
Dietro alle imprese di Jonas Vingegaard al Tour de France numero 110 non ci sono al momento trucchi o sospetti.
Come spiegare allora i duemila metri l’ora di velocità ascensionale sulle grandi montagne che nessuno aveva mai toccato e che hanno mandato in tilt Tadej Pogacar? O i 13 minuti con cui il danese ha divorato la parte verticale del Col de la Loze, prima di essere bloccato da una macchina messa di traverso, in cui ha sprigionato 7,6 watt/chilo, valore che ha lasciato stupefatti i fisiologi e che non si era mai visto prima?
Jonas Vingegaard
Bisogna considerare che i record di scalata nel ciclismo sono vecchi di 20 o 25 anni e che molti dei loro titolari volavano solo perché imbottiti di Epo o trattati con trasfusioni. Vingegaard ha abbinato enorme talento, allenamento moderno a una bici spaziale, cancellando finalmente una pagina nera della storia del ciclismo. A portarlo in carrozza verso primati sui Pirenei e sulle Alpi, specie nella parte iniziale delle salite, un «treno» milionario composto da gregari che potrebbero fare i capitani in qualunque altra squadra.
Più difficile spiegare razionalmente la mostruosa cronometro di Combloux, dove il danese ha rifilato quasi due minuti (in 22 chilometri) a Pogacar e tre a Van Aert, uno dei migliori specialisti al mondo. Stupefacenti la media su quel tracciato difficilissimo (41 km l’ora) e le potenze raggiunte. Dagli elementi di cui disponiamo, l’idea è che il danese e lo staff della sua Jumbo abbiano costruito quella prova metro per metro al simulatore, intuendo che in un Tour equilibratissimo sarebbe stata decisiva.
Jonas Vingegaard
La scelta di una bici estrema, le prove per domarla, la tracciatura di ogni curva (non si va a novanta all’ora su un telaio simile in discesa senza aver fatto mille prove), la selezione minuziosa di rapporti e potenze in ciascun tratto, probabilmente impostate tramite il computer di bordo, hanno creato il vuoto. Una finalizzazione da Formula 1 che un atleta freddo come una monoposto in carbonio ha portato a termine in modo magistrale. Elementi che vanno innestati su un metabolismo fuori del comune (il massimo consumo di ossigeno, 90 ml/kg/min, è anch’esso da record) e sul fatto che Vingegaard al contrario di Pogacar dall’inizio della scorso anno si concentra solo sul Tour, vive solo per il Tour e pensa solo al Tour. E fino a prova contraria lo sta vincendo in modo pulito.
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