Vittorio Feltri per “Libero quotidiano”
VITTORIO FELTRI E I GATTI
Ci sono persone, tra cui vari scrittori, convinti che i gatti siano straordinari. E io sono tra queste, per cui ogni volta che esce un libro che narra le gesta di un micio vissuto accanto al suo custode, uomo o donna che sia, non mi trattengo: devo leggerlo, una sorta di imperativo categorico. Nei giorni scorsi è giunto sulla mia scrivania un volume edito da Mursia, curato da Marina Alberghini e Luca Ortino. Titolo: Gatti dall'altrove. Titolazione di cui mi sfugge il significato ma che comunque mi ha spinto a divorare 217 pagine, parecchie delle quali originali o addirittura istruttive.
VITTORIO FELTRI E I GATTI
Numerosi amanti dei felini sono considerati dai loro simili deficienti, gente rammollita che si intenerisce davanti a una tigre in miniatura dal pelo fitto. Non parliamo delle cosiddette "gattare", reputate prive di senno perché assistono e soccorrono vari randagi a cui si affezionano in modo morboso. Io per costoro nutro invece simpatia e affetto poiché nel loro attaccamento agli animali vedo una forma di amore disinteressato e assai intenso.
Ogni saggio che viene pubblicato sui gatti me lo bevo con piacere, in esso trovo la conferma che la mia passione per le bestie (escluse le zanzare) non è coltivata in solitudine. E ciò mi rincuora. Fin da piccolo adoravo accarezzare i cuccioli che incontravo con la loro mamma in cortile. Giocavo con essi ore e ore mentre la proprietaria della gatta mi osservava sorridendo. Desideravo assai possedere una di quelle bestiole, tuttavia mia madre era ostile all'adozione. Questa proibizione generava in me molta frustrazione.
VITTORIO FELTRI E I GATTI
LA STRANA FUGA DI GIULIANO
Cosicché dovetti aspettare di compiere 14 anni per realizzare il mio sogno, quando la mia famiglia si trasferì in una villetta in periferia, contornata da un po' di terreno. Finalmente ebbi il permesso di introdurre nella mia abitazione un gattino bianco e nero, di pelo lungo, che chiamai "Vecio". Era stupendo e con me campava in simbiosi, lo imboccavo e lo lisciavo senza requie. Ovunque andassi mi correva appresso.
La sera, quando si trattava di andare a dormire, Vecio mi aspettava davanti alla porta della camera in attesa che io vi entrassi. Non sbagliava un colpo, varcava la soglia e, non appena mi fossi coricato, balzava sul letto e, non bastasse, si infilava sotto le lenzuola dove rimaneva immobile fino al mattino. Annidi stretta vicinanza, il mio attaccamento a lui è stato assoluto. Allorché, spesso, gli parlavo, faceva delle smorfiette. La sua morte mi stese in un dolore fisico.
VITTORIO FELTRI E I GATTI
Anni dopo mi sposai e, dato che mia moglie è più gattolica di me, recuperammo una micetta, Amalia, che era appassionata di tennis. Mio figlio Mattia la poneva sul pianoforte e le lanciava delle palline di carta, che lei respingeva con precisione. Le piacevano queste partite.
Quando mia figlia Fiorenza rincasava da scuola, soleva fare quattro chiacchiere accanto al portone con un compagno e Amalia si arrabbiava. Miagolava furiosa, pretendeva che la ragazza salisse da lei e la smettesse di starsene lì a blaterare con il suo amico. La presenza felina nelle mie dimore è sempre stata dominante e foriera di episodi stravaganti. Una notte avvenne un fatto curioso.
La luce del salone in cui trascorrevamo il dopocena si accese, poi si spense, poi si riaccese di nuovo. Io e mia moglie ci svegliammo spaventati. Pensammo: «Saranno quegli stupidi dei nostri figli». Ci alzammo per verificare l'accaduto. Incredibile, era la micia che, seduta su un mobiletto in prossimità dell'interruttore, si divertiva ad azionarlo. La mia consorte scherzando diceva: «Possibile che in questa famiglia anche i gatti siano cretini?».
VITTORIO FELTRI E I GATTI
Non aveva tutti torti. Però lei stessa un tardo pomeriggio mi telefonò al Giornale, da notare che non mi chiama mai, per sollecitarmi a raggiungere quella sera la nostra abitazione a Bergamo, dove avrei trovato una sorpresa. Non mancai di obbedire, ovviamente. E, introdottomi nel mio appartamento, considerata l'ora, mi recai nella stanza della mia metà e vidi che accanto al suo corpo giaceva un gattino.
Domanda mia: «E questo qui da dove cazzo viene?». Risposta gelida: «L'ho visto mezzo rincoglionito per strada e l'ho preso, mi faceva pena». Scoppiai a ridere. Quando abitavo sulle colline orobiche e avevo un parco di 6000 metri, ogni tanto qualcuno buttava oltre il cancello un felino trovatello. E io me lo tenevo. Un pomeriggio ero seduto su una panchina con Fiorenza, ultima figlia, e avvertimmo un miagolio disperato.
VITTORIO FELTRI E I GATTI
La mia erede, pure gattolica, si rivolse al cane, Ciro, come a un fratello: «Senti? Deve essere un micetto, vai a prenderlo». Ciro scattò e solo due minuti dopo si presentò con un gattino in bocca, del quale poi diventò amico inseparabile. Adesso risiedo a Milano, ho un pezzullo di giardino dove gironzolano quattro miei gatti, le imprese dei quali, almeno di uno di loro, meritano un cenno. Giuliano, un micione rosso, naturalmente trovatello, ogni anno a ottobre sparisce e sta via un mese secco.
Noi ci disperiamo, lo cerchiamo dovunque, niente. Assenza ingiustificata e prolungata. Dove diavolo sarà finito quell'imbecille? Dopo trenta giorni di angoscia, la mattina presto, udiamo un miagolio insistente, ci alziamo per controllare: è lui, lo scapestrato. Lo esamino, è in splendida forma. Dove vada, chi lo curi, perché scompaia costituiscono misteri. Ma noi siamo felici che sia riapparso e di dargli tanta pappa. I nostri quattro zampe ci rallegrano la vita.