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    LA MALEDIZIONE DEGLI CHEF – IL MONDO DELL’ALTA CUCINA PIANGE LA SCOMPARSA DI VITTORIO FUSARI. PER UNO SCHERZO DEL DESTINO, A TRADIRLO È STATO IL CUORE CHE ERA DIVENTATO IL MOTTO DELLA SUA CUCINA: “UN CIBO DI CUORE E PENSATO” - PER AMORE DELLA FAMIGLIA AVEVA ABBANDONATO IL MILANESE “PONT DE FERRO” PER BERGAMO, DOVE AVEVA APERTO IL “BALZER” - IL RICORDO SUI SOCIAL: "NON VI HO LASCIATI, AVETE IN EREDITÀ LE MIE RICETTE" – VIDEO


     
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    1 – LO CHEF VITTORIO FUSARI MORTO A 66 ANNI PER UN PROBLEMA CARDIACO. IL SUO MOTTO ERA: «UN CIBO DI CUORE E PENSATO»

    Ilaria Del Prete per www.leggo.it

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    Lo chef Vittorio Fusari è morto ieri, poco dopo le 19, all'ospedale di Chiari. A tradirlo è stato il cuore, quello che metteva nella sua cucina e aveva fatto diventare anche il suo motto: "un cibo di cuore e pensato".

     

    Lo chef era ricoverato per problemi cardiaci da una ventina di giorni. Proprio nel giorno di Capodanno, quando stava per essere dimesso, è stato colto da un ultimo malore che gli è stato fatale. Vittorio Fusari si è spento nel reparto di Rianimazione dell’ospedale Mellini di Chiari a 66 anni, compiuti in dicembre. Fusari lascia la moglie Anna Patrizia Ucci e il figlio quindicenne. Proprio per amore della famiglia, lo chef aveva abbandonato due anni fa la sua esperienza milanese a Al Pont de Ferr.

     

    vittorio fusari con gasperini al balzer vittorio fusari con gasperini al balzer

    Ora chef del rinomato ristorante Balzer di Bergamo, Fusari è stato ricordato dalla sua brigata con un post su Facebook. «Ciao Vittorio - scrivono dal locale storico del Sentierone -. Sei nei nostri cuori. Il nostro grande Maestro, ci mancherai tanto».

     

    Anche sul profilo Instagram dello chef è apparso un messaggio: «Non vi ho lasciati, avete in eredità le mie ricette che raccontano le mie idee. Copiatele e fatele vivere costruendo attraverso il cibo un mondo migliore».

     

    2 – APPASSIONATO, FIDUCIOSO, CREATIVO: SENZA VITTORIO FUSARI SIAMO TUTTI PIÙ SOLI

    Licia Granelli per www.repubblica.it

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    “Ciao meraviglia!”. E poi un abbraccio di quelli veri, cuore a cuore, affetto e allegria da vendere. Vittorio Fusari mi salutava così da sempre, da quando Gianni Mura (che Vittorio adorava) mi aveva portato a mangiare al Volto di Iseo. Un’amicizia solida, fatta di chiacchierate lunghissime, assaggi e riassaggi, brindisi di bollicine – rigorosamente franciacortine, hai voglia a dirgli che lo Champagne era meglio – e consigli sui libri, analisi politiche e progetti sul cibo di domani.

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    Fusari era bello, di una bellezza virile accesa da due occhi azzurri febbrili, a cui era difficile sfuggire. Aveva avuto una prima moglie, con cui aveva condiviso gli inizi del Volto. Poi, durante un Salone del Gusto praticato da militante Slow Food della prima ora, aveva incontrato Patrizia, dentista salernitana trapiantata a Bergamo. Fulminati dalla passione, uniti nel credo del cibo buono-pulito-e-giusto, hanno condiviso un figlio, Giacomo, e gli ultimi vent’anni sempre uno a supporto dell’altro. Poco dopo averla conosciuta, le aveva dedicato uno dei suoi piatti più celebri, il salmastro sensuale e goloso dell’insalata di mozzarella e ostriche per far rivivere un bacio appassionato sugli scogli della Costiera. Nel frattempo, Vittorio è diventato una delle migliori teste pensanti del mondo della cucina.

    vittorio fusari pont de ferr 3 vittorio fusari pont de ferr 3

     

    Perché a lui non bastava inventare ricette e tradurle in piatti che funzionano. Al contrario, era certo che le ricette dovessero nascere come conseguenza creativa di un pensiero, figlie di storie raccontate o vissute, memorie rilette con lo sguardo colto di chi divorava letteralmente i libri. In vacanza o nei momenti di pausa lavorativa, infatti, Vittorio spariva. Lo trovavi in un angolo qualunque, accucciato su un gradino o appoggiato a un muro, che leggeva, leggeva, leggeva. Oppure, ma questo atteneva ai momenti sociali, giocava a carte. Un po’ ci rideva e molto si incazzava, liberando la parte selvaggia che teneva compressa in qualche parte del corpo.

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    Amava le persone, senza distinzioni di alto e basso, spesso fidandosi troppo. Quel non sapersi/volersi difendere dai furbacchioni che abitano il mondo della ristorazione è stato forse il suo limite maggiore. Si stupiva della cattiveria come di un inciampo della vita, cercando sempre di capire, di spiegare. E soprattutto si confrontava, sempre. Un piatto, un sapore, un profumo: non era tanto l’analisi sensoriale stretta ad attrarlo, quanto l’armonia, i rimandi, l’energia che sprigionava. Era stato malato ed era guarito, portandosi appresso la certezza che il cibo potesse funzionare come medicina. Si era avvicinato al lavoro di due nutrizionisti importanti, Franco Berrino e Luigi Fontana, e pubblicato un libro sulla longevità tra scienza e cucina.

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    Da ieri sera, lungo la dorsale dell’Italia del cibo corre un tam tam doloroso e stupefatto di cuochi italiani, osti e super stellati, e dei tanti ragazzi che lo hanno incrociato nelle cucine o nelle aule di Pollenzo (l’Università di Scienze Gastronomiche di Slow Food). Tutti un po’ più soli. Costa fatica alzare il bicchiere di bollicine per un brindisi in suo onore. Ma sicuramente a lui piacerebbe un sacco.

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