Dario Pappalardo per “la Repubblica”
VITTORIO SGARBI
Solo a Vittorio Sgarbi può riuscire di passare con disinvoltura da un dialogo con Aleksandr Sokurov, sacro maestro del cinema russo (ieri al Teatro Parenti di Milano, anteprima della Milanesiana), ai microfoni della Zanzara di Radio 24. E, intanto, tra la folla che al solito lo segue, incassare l'ok della Provincia di Trento: sarà lui il nuovo presidente del consiglio di amministrazione del Mart di Rovereto.
Ovvero del museo, diretto per anni da Gabriella Belli, poi passato brevemente a Cristiana Collu e oggi guidato da Gianfranco Maraniello, che è stato a lungo un modello per raccontare ed esporre l' arte contemporanea in Italia. Sgarbi, che ai tagli di Lucio Fontana preferisce Piero della Francesca (vedi anche la seconda parte del suo saggio Novecento, appena uscito per La nave di Teseo), non sembra affatto spaventato dalle critiche piovute già alla vigilia della conferma della sua nomina. Anzi. «Farò il presidente gratis», precisa. «Alla mia età non mi arricchisco con le cariche».
Sgarbi, diciamo la verità, la sua nomina non farà tutti felici.
MART ROVERETO
«Le polemiche sono solo da parte degli intellettuali. I commercianti e i cittadini di Rovereto sono felici che finalmente capiti qualcosa».
Gli ultimi dati degli ingressi al museo - si calcolano seimila presenze in meno - non sono stati molto incoraggianti...
«Deve cambiare innanzitutto la comunicazione. Non bisogna aver paura delle parole. Fino a febbraio, è stata fatta una bella mostra su Margherita Sarfatti. Peccato che in pochi oggi sappiano chi sia. Se fosse stata intitolata "Arte e fascismo", avrebbe raccolto ventimila visitatori in più. Si eccede nel politicamente corretto».
VITTORIO SGARBI
Pensa che in Italia ci sia ancora chi possa subire il fascino della parola "fascismo" nel titolo di una mostra?
«Penso che tutti sanno che cosa sia il fascismo. Mentre della Sarfatti non si può dire lo stesso»
Che rapporti ha con il direttore del Mart Maraniello? La sua figura di presidente non può essergli indifferente.
«Con lui il rapporto è ottimo. Già prima della conferma della mia nomina, avevo proposto di realizzare al Mart una mostra su Canova e il contemporaneo. Maraniello ha dato la sua approvazione a prescindere dal fatto che fossi diventato presidente. Ma il mio rapporto è buono con tutta la storia del Mart. Avrei voluto la fondatrice Gabriella Belli nel consiglio di amministrazione, ma lei è impegnata a dirigere i musei di Venezia. E stimo la direttrice successiva, Cristiana Collu, che ebbe il coraggio di portare Antonello da Messina in un museo del Novecento».
Gianfranco Maraniello
Che il museo sia in crisi, rispetto alle origini, è un dato di fatto. Che cosa farà?
«Il museo deve essere gratis. Bisogna far pagare solo le mostre. Proporrò di imporre a tutti i turisti che arrivano a Rovereto un biglietto obbligatorio di un euro per il Mart da acquistare in albergo. In modo da aumentare i visitatori potenziali e assicurarsi comunque degli incassi. Non sarà come una tassa, ma una sorta di orientamento alla fruizione».
Occorre anche un programma di mostre che richiamino il pubblico, però.
«In Italia il pubblico è viziato dalle solite mostre sugli impressionisti. Come se fosse difficile vederli a Parigi. Dobbiamo battere nuove strade. In questo momento al Jacquemart-André di Parigi c' è una mostra sul danese di fine Ottocento Vilhelm Hammershøi: potrebbe arrivare anche da noi».
Non ama il Novecento, lo dica.
VITTORIO SGARBI E LUIGI DI MAIO
«Non amo ridurre il pubblico come quello delle Vacanze intelligenti di Alberto Sordi: spaesato in giro per le sale. All' Italia manca ancora una grande mostra su Lucian Freud o sullo spagnolo Antonio López García, che considero il più grande pittore vivente».
Non c' è il rischio che il Mart diventi "il museo di Sgarbi"?
«Ovviamente il rischio c' è»
Ecco.
«No, non perché io voglia fare il prepotente. È una questione di gusti. A chi sostiene che non capisco il contemporaneo dico che oggi Domenico Gnoli, segnalato in tempi non sospetti, va meglio di Burri, in termini di quotazioni. Seguendo la strada tracciata da Giovanni Testori, c' è tutta un' arte contemporanea in penombra che va illuminata. Nel Novecento non c' era solo il sentimento della distruzione di Beuys e Nitsch. Un po' di divertimento ce l' ho».