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    VIVA VIVA LA TRATTATIVA! NAPOLITANO TESTIMONE, OK DAL TRIBUNALE. MA IL PRESIDENTE DELLA CORTE D’APPELLO: “NON PARLERÀ DELLE TELEFONATE CON MANCINO”


     
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    1. STATO-MAFIA: NAPOLITANO NON DEPORRA' SU TELEFONATE
    (ANSA) - Giorgio Napolitano, non sara' chiamato a deporre sulle sue telefonate con Nicola Mancino intercettate nell'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia. Lo ha deciso il presidente della Corte d'assise, Alfredo Montalto, che ha anche stabilito che comunque l'audizione di Napolitano su altri temi del processo puo' considerarsi 'legittima'.

    NICOLA MANCINO E GIORGIO NAPOLITANONICOLA MANCINO E GIORGIO NAPOLITANO


    2.TRATTATIVA, VIA LIBERA ALL'AUDIZIONE DI NAPOLITANO
    Salvo Palazzolo per "La Repubblica"

    Arriva il primo via libera alla citazione del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al processo per la trattativa mafia-Stato. Il presidente della Corte d'assise di Palermo, Alfredo Montalto, ha autorizzato la lista dei 176 testimoni presentata dai pm Di Matteo, Del Bene e Tartaglia. Al numero 63 dell'elenco c'è il nome del capo dello Stato.

    NICOLA MANCINO E GIORGIO NAPOLITANONICOLA MANCINO E GIORGIO NAPOLITANO

    E soprattutto la motivazione della sua citazione: «Per riferire in ordine alle preoccupazioni espresse dal suo consigliere giuridico Loris D'Ambrosio nella lettera del 18 giugno 2012». In quella lettera, spiegano i pubblici ministeri di Palermo, D'Ambrosio esprimeva il «timore» di "essere stato considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi", e ciò nel periodo fra il 1989 e il 1993».

    GIORGIO NAPOLITANO E LORIS D'AMBROSIOGIORGIO NAPOLITANO E LORIS D'AMBROSIO

    Adesso, il giudice che il prossimo 27 maggio aprirà il processo nei confronti di 10 fra boss e uomini delle istituzioni dice che la richiesta della Procura è regolare, secondo i canoni previsti dall'articolo 468 del codice di procedura penale. Non è solo una questione di tecnicismi giuridici, il codice impone al giudice di «escludere» le testimonianze «vietate dalla legge e quelle manifestamente sovrabbondanti».

    Dunque, la lista dei 176 testimoni, con il nome del capo dello Stato in bella vista, è ammissibile. E in una delle prime udienze la corte d'assise la esaminerà nel merito, per decidere se citare il presidente della Repubblica e tutti gli altri testi dell'accusa.

    INGROIA AL CORTEO FIOM jpegINGROIA AL CORTEO FIOM jpeg

    Il 27 maggio, sullo stesso banco degli imputati, si ritroveranno padrini del calibro di Riina e Bagarella, l'ex senatore Dell'Utri e uomini delle istituzioni come l'ex ministro Mancino, i generali Mori e Subranni. Contro di loro, i pm chiedono di convocare trenta pentiti, ma anche l'ex presidente della Repubblica Ciampi e gli ex ministri Conso, Martelli, Scotti e Amato.

    Nino Di Matteo Nino Di Matteo

    La citazione del capo dello Stato viene chiesta pure da Salvatore Borsellino, il fratello del giudice ucciso il 19 luglio 1992, e da Sonia Alfano, il presidente della commissione antimafia europea che è costituita parte civile nel processo "Trattativa" come rappresentante dell'Associazione familiari vittime di mafia.

    Così ha scritto l'avvocato Fabio Repici, in rappresentanza delle due parti civili: «Si chiede l'audizione del presidente Napolitano, all'epoca dei fatti presidente della Camera, per riferire sui contenuti della lettera da lui pubblicamente rivolta il 29 gennaio 2013 alla figlia dell'allora presidente della Repubblica Scalfaro».

    Marcello Dell'UtriMarcello Dell'Utri

    In quella lettera, Napolitano scriveva di avere «accompagnato» l'allora capo dello Stato «nei momenti decisivi di quel periodo». E Scalfaro è sotto accusa nell'impostazione della Procura di Palermo, perché avrebbe sostenuto la linea dell'alleggerimento del carcere duro ai mafiosi dopo le prime bombe del 1993. Su quella lettera a Scalfaro, l'avvocato Repici ha già ottenuto la citazione di Napolitano al processo quater per la strage Borsellino, in corso a Caltanissetta.

    Per il processo di Palermo, le parti civili Alfano e Borsellino chiedono però di sapere qualcosa in più dal capo dello Stato: «Le eventuali confidenze riferitegli da Mancino nel corso delle plurime conversazioni telefoniche intercorse fra i due e intercettate dalla Procura». Sono le conversazioni, poi distrutte, che hanno sollevato il conflitto di attribuzione fra il Quirinale e la Procura di Palermo.

     

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