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    “VOGLIONO FARMI MORIRE SOTTO PROCESSO” – LA SVELENATA DELL’EX CAPO DEI ROS, MARIO MORI, CHE IERI HA RICEVUTO UN AVVISO DI GARANZIA PER NON AVER AVVISATO “L’AUTORITÀ GIUDIZIARIA DEGLI EVENTI STRAGISTI DEL ‘93”. PER LA PROCURA DI FIRENZE MORI ERA STATO GIÀ INFORMATO NEL ’92 “DELLE INTENZIONI DI COSA NOSTRA”, MA È STATO LO STESSO GENERALE A RITENERE NON ATTENDIBILI LE SEGNALAZIONI DEL MARESCIALLO TEMPESTA E DI ALCUNI MAFIOSI – AL FIANCO DI MORI SI È SCHIERATA IN BLOCCO LA DESTRA AL GOVERNO E L’ARMA DEI CARABINIERI CHE…


     
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    1. - CARABINIERI, 'VICINANZA A MORI, HA RESO LUSTRO ALL'ARMA' 

    mario mori mario mori

    (ANSA) - ROMA, 22 MAG - "Nel pieno rispetto del lavoro dell'autorità giudiziaria, l'Arma dei Carabinieri esprime la sua vicinanza nei confronti di un ufficiale che, con il suo servizio, ha reso lustro all'istituzione in Italia e all'estero, confidando che anche in questa circostanza riuscirà a dimostrare la sua estraneità ai fatti contestati". Lo afferma il comando generale dei Carabinieri in una nota dopo la notizia dell'avviso di garanzia della procura di Firenze al generale Mario Mori.

     

    strage via palestro strage via palestro

    2. - STRAGI, MORI INDAGATO “MI FARANNO MORIRE SOTTO PROCESSO”

    Estratto dell'articolo di Luca Serranò per “la Repubblica”

     

    Prima che le bombe venissero piazzate a Roma, Milano e Firenze nel 1993, l’allora colonnello Mario Mori aveva appreso notizie riservate — veicolate prima attraverso un maresciallo dei carabinieri, poi da fonti mafiose — sul progetto stragista di Cosa nostra dopo le stragi di Capaci e via d’Amelio. Questo quadro accusatorio viene valutato dalla procura di Firenze, che ha indagato Mori per concorso in strage. All’ex comandante del Ros e già direttore dei servizi segreti italiani è stato notificato un avviso di garanzia (come da lui stesso comunicato) proprio per non aver rivelato «mediante doverose segnalazioni e/o denunce all’autorità giudiziaria, ovvero con l’adozione di autonome iniziative investigative e/o preventive, gli eventi stragisti».

     

    mario mori mario mori

    Tutto nonostante fosse stato informato già nell’agosto 1992 dal maresciallo Roberto Tempesta «del proposito di cosa nostra, veicolatogli dalla fonte Paolo Bellini, di attentare al patrimonio storico, artistico e monumentale della nazione e, in particolare, alla torre di Pisa», e, successivamente, «da Angelo Siino, che lo aveva appreso da Antonino Gioè, da Gaetano Sangiorgi e da Massimo Berruti, durante il colloquio investigativo intercorso a Carinola il 25 giugno 1993, il quale gli aveva espressamente comunicato che vi sarebbero stati attentati al Nord».

     

    strage via dei georgofili strage via dei georgofili

    Uno di questi particolari era stato confermato da Mori lo scorso anno ai magistrati toscani; in quell’occasione aveva ammesso di avere ricevuto il messaggio scritto dal maresciallo Tempesta, spiegando però di non averlo preso in considerazione come un fatto attendibile.

     

    […] «Evidentemente certi inquirenti continuano a proporre altri teoremi — ha detto Mori —[…] questo disegno che ha come unico obiettivo quello di farmi morire sotto processo». E ancora: «Sono profondamente disgustato dalle accuse, offendono, prima ancora della mia persona, i magistrati seri con cui ho proficuamente lavorato nel corso della mia carriera nel contrasto al terrorismo e alla mafia, su tutti Giovanni Falcone e Paolo Borsellino».

    antonio ingroia mario mori antonio ingroia mario mori

     

    Mori avrebbe dovuto essere interrogato domani (giorno del 32esimo anniversario della strage costata la vita al giudice Giovanni Falcone), ma ha chiesto di rinviare il faccia a faccia con i pm per un impedimento.

     

    Al suo fianco si è subito schierata in blocco la destra al governo, con il ministro della Difesa, Guido Crosetto, e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano (che ha ricevuto l’ex comandan te a Palazzo Chigi) che hanno espresso vicinanza: i risultati di Mori, ha detto Mantovano, «esigerebbero solo gratitudine da parte delle istituzioni.

     

    attentato via palestro a milano attentato via palestro a milano

    Tutte le istituzioni magistratura inclusa ». Il presidente dei senatori di Forza Italia, Maurizio Gasparri, che ha chiesto al ministro della giustizia Carlo Nordio di inviare gli ispettori in procura. Durissima anche la vicepresidente del gruppo di Forza Italia alla Camera, Rita Dalla Chiesa: «Non si smentisce mai, la procura di Firenze — ha detto — Continua a gettare fango su un uomo, come il generale Mori, che ciclicamente viene messo sotto accusa per reati orribili».

     

    3. - COSÌ I PM RIPORTANO IL GENERALE ALLA CASELLA DI PARTENZA QUEI VERDETTI CONTRADDITTORI

    Estratto dell’articolo di Giovanni Bianconi per il “Corriere della Sera”

     

    Vent’anni e più da indagato e imputato, sempre assolto, e non è ancora finita.

    mario mori giuseppe de donno 0 mario mori giuseppe de donno 0

    Dopo la mancata perquisizione del covo di Totò Riina, il mancato arresto di Bernardo Provenzano, un concorso esterno in associazione mafiosa poi sfociato nella più grave «minaccia a corpo dello Stato» per la presunta trattativa Stato-mafia, ecco l’ipotesi di accusa più dirompente per le stragi del 1993: concorso per omissione; seppe in anticipo che Cosa Nostra avrebbe attaccato i luoghi d’arte sulla Penisola ma non fece nulla per impedirlo. E nemmeno trasmise l’allarme alla magistratura.

    strage via dei georgofili firenze strage via dei georgofili firenze

     

    È come se l’ottantacinquenne generale dell’Arma in congedo Mario Mori, nonché prefetto già capo del servizio segreto civile, fosse costretto a tornare alla casella di partenza in un virtuale gioco dell’oca dove l’antimafia diventa complice della mafia. Da Palermo si è passati a Firenze, ma la trama è sempre la stessa: la strategia investigativa del Ros e del suo capo operativo al tempo delle stragi, che contemplava l’uso di fonti interne a Cosa Nostra o blitz ritardati per andare più a fondo negli interventi repressivi, divenne un’arma nelle mani dei boss per continuare a ricattare le istituzioni a suon di bombe e ottenere benefici. Una tesi che trova sostenitori e detrattori, tutti in grado di citare la sentenza (o qualche sua parte) che preferiscono.

     

    giovanni falcone paolo borsellino giovanni falcone paolo borsellino

    Mori ha dalla sua quella con cui la Cassazione, il 27 aprile 2023, ha messo il sigillo sulla sua assoluzione […] Tuttavia ce n’è un’altra, ugualmente definitiva, pronunciata a Firenze nel 1998 proprio per le stragi sul continente, dove si afferma sostanzialmente il contrario: il contatto stabilito da Mori e De Donno con l’ex sindaco mafioso Vito Ciancimino aveva convinto Riina e compari che gli attentati davano buoni frutti, perché dopo Capaci e via D’Amelio lo Stato «si era fatto sotto» per provare a dialogare.

     

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    «Questo convincimento — hanno scritto i giudici fiorentini — rappresenta il frutto più velenoso dell’iniziativa del Ros che, nonostante le più buone intenzioni ebbe sicuramente un effetto deleterio per le istituzioni, confermando il delirio di onnipotenza dei capi mafiosi e mettendo a nudo l’impotenza dello Stato. Prova ne sia che, appena i “corleonesi” intravidero difficoltà nella conclusione della trattativa (cioè, nella soddisfazione delle loro pretese) pensarono a un’altra strage per “stuzzicare” la controparte». Così si spiegano il fallito attentato a Pietro Grasso e, l’anno successivo, le stragi di Firenze, Roma e Milano. Che ora Mori è accusato di non aver evitato dopo gli avvertimenti del maresciallo dei carabinieri Roberto Tempesta e del mafioso pentito Angelo Siino. Che però ne hanno parlato anni addietro, e le loro dichiarazioni sono state già scandagliate nei processi contro Mori. Evidentemente i pm di Firenze hanno raccolto ulteriori elementi che li hanno spinti a re-indagare il generale.

     

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    Una mossa che ha già scatenato le prevedibili polemiche politiche sulla asserita persecuzione contro un investigatore divenuto, nell’immaginario alimentato dalle iniziative delle Procure, icona di un’antimafia ambigua e dialogante col nemico. Suo malgrado e anche per effetto di certe sue affermazioni fatte, da testimone, proprio nel primo processo di Firenze. Descrivendo il primo incontro con Ciancimino, Mori ricordò di avergli detto: «Ma cos’è questa storia qua? Ormai c’è un muro contro muro, da una parte Cosa Nostra e dall’altra parte lo Stato, ma non si può parlare con questa gente?». L’ex sindaco si mostrò disponibile: «Dice: “Ma sì, si potrebbe, io sono in condizione di farlo”... Dissi: “Allora provi... Vada avanti”. Lui capì a modo suo, fece finta di capire e comunque andò avanti. E restammo d’accordo che volevamo sviluppare questa trattativa».

     

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    Ecco, la parola chiave — trattativa — la pronunciò lui stesso, e per certi versi c’è rimasto impigliato. In vent’anni e più di indagini e dibattimenti, quelle sue frasi sono state ripetute come un mantra dai rappresentanti dell’accusa, ma per il generale e i suoi sostenitori valgono e varranno sempre altre parole.

     

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    Come quelle pronunciate dal suo avvocato Basilio Milio aprendo l’arringa nel primo grado del processo-trattativa e pubblicate nel libro Ho difeso la Repubblica : «Questo non è un processo, ma rappresenta il tentativo di ricostruire la storia non secondo verità ma secondo una ben definita impostazione politico-ideologica. E come diceva uno scrittore: “L’ideologia è il più duro carceriere del pensiero”». Sembrava finita, ma non lo è. Ora nuovi pm ritengono doverosi ulteriori accertamenti su un capo d’accusa collegato se non gemello. E nuove polemiche sono assicurate.

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