Estratto dell’articolo di Carlo Alberto Bucci per “la Repubblica - Edizione Roma”
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Oltre il cancello su via Salaria o scavalcando con lo sguardo il muro lungo via Adda, viale Regina Margherita e via di Villa Albani, c'è l'ultima villa rimasta sostanzialmente come era ai tempi del papa re e, soprattutto, secondo quell'atmosfera di addomesticata natura selvaggia, paesaggio agreste e cultura antiquariale che la resero famosa ai tempi del Grand Tour.
Stiamo parlando evidentemente della villa-museo Albani-Torlonia, sede dell'omonima fondazione che permette da tempo le visite al parco, al Casino nobile, alla Kaffehaus o alla Galleria della Leda, attraverso tour guidati e contingentati, ma con lunghissime liste di attesa. Del resto, è stato grazie alla riservatezza dei proprietari se questo gioiello neoclassico si è conservato ancora con (quasi tutti) i marmi, i decori, gli affreschi, gli arredi, persino gli infissi e gli specchi (benché ossidati) dei secoli XVIII e XIX.
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Per entrare nelle stanze e nella storia della villa voluta da Alessandro Albani sugli otto ettari di una vigna comprata nel 1745 c'è però ora il libro "Villa Albani Torlonia. Architetture, collezioni, giardino" che, a cura di Carlo Gasparri, mette insieme per la prima volta saggi ariosi, foto suggestive (di Massimo Listri) e schede puntuali (Electa, 380 pagine, 49 euro).
Partendo dalle pagine conclusive, con il testo di Roberto Valeriani sul Gabinetto cinese e quello di Enrico Colle che per la prima volta analizza console, divani, scrivanie e toilette del ' 700, si arriva alle origini della raccolta attraverso lo studio di Antonio Pinelli sulla quadreria che, forte degli scritti di Maria Barbara Guerrieri Borsoi, rivela la predilezione degli Albani per i maestri marchigiani ( Barocci, Sassoferrato, l'irraggiungibile Raffaello) ma anche, tramite le vedute di Gaspar van Wittel e di Jacob P. Hackert, la bellezza del palazzo di via Quattro Fontane, dei possedimenti a Soriano del Cimino, e della stessa Villa Albani nel 1779, quando intorno c'erano solo campi e collinette, ora asfaltati e cementificati.
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Attraverso la ritrattistica entriamo poi nella famiglia, originaria dell'Albania e radicata dal ' 400 a Urbino, con i volti di papa Clemente XI, di suo fratello Orazio II e di suo figlio Alessandro, immortalato da Ludovico Mazzanti con colori e attributi cardinalizi, sebbene la sua passione più autentica fosse la polvere del tempo e dei marmi antichi. Si deve al cardinal nipote la spinta a portare la Grecia a Roma attraverso una dispendiosa, ai limiti della bancarotta, campagna di acquisti e spoliazioni (di domus romane e chiese cristiane) che nemmeno la vendita di 300 pezzi a Clemente XII Corsini riusciranno a fermare.
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Ad Alessandro si deve l'innamoramento per il marmo lunense con il " Rilievo di Antinoo", prediletto dell'imperatore Adriano, per il quale Carlo Marchionni, l'architetto della villa, disegna un camino ad hoc. Ed è lui a chiamare al suo fianco il profeta del neoclassicismo, il tedesco J. J. Winkelmann, e il genio pre romantico della romanità, il veneziano Piranesi. Nel cenacolo di villa Albani transiterà anche Giacomo Casanova, presterà i suoi servigi di scultore e " restauratore" il Cavaceppi e Mengs dipingerà nel Parnaso la moglie Margherita nei panni di Calliope e Vittoria Cheroffini, figlioccia del cardinale, in quella di Mnemosine. [...]
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