Vittorio Da Rold per https://it.businessinsider.com
recep tayyip erdogan e angela merkel 1
Dopo le rivelazioni dell’intenzione di Volkswagen di costruire uno stabilimento per la produzione di auto in Turchia, l’azienda tedesca ha deciso di ritardare la decisione sull’impianto automobilistico da 1,3 miliardi di euro a causa dello sconvolgimento politico causato dall’azione militare del paese nel nord della Siria.
“La decisione sulla costruzione di un nuovo impianto è stata rinviata dal consiglio di amministrazione”, ha dichiarato VW. “Stiamo monitorando attentamente la situazione e siamo preoccupati per gli sviluppi attuali”, riporta Bloomberg.
Monta la pressione internazionale contro l’aggressione turca dei curdi siriani che ha provocato già decine di morti e 200mila profughi. Olanda, Norvegia, Finlandia e da ultimo Francia e la Germania, su pressioni dell’opinione pubblica disgustata dalle minacce di Erdogan di lasciar partire milioni di profughi siriani alla volta dell’Europa, hanno annunciato il bando delle forniture militari verso Ankara. Un primo timido segnale di opposizione all’aggressione militare turca.
MERKEL ERDOGAN
Ma mentre il governo tedesco blocca l’export di armi il gigante automobilistico tedesco Volkswagen si sta preparando da tempo per un importante investimento in Turchia, per costruire una nuova fabbrica di autovetture e dare un segnale importante di fiducia a favore del Governo filo-islamico di Recep Tayyip Erdogan al potere da 18 anni ininterrottamente nel paese della Mezzaluna sul Bosforo e che è pronto a fare ponti d’oro per favorire l’insediamento industriale.
D’altra parte i legami tra Turchia e Germania sono sempre stati storicamente molto forti dai tempi dell’Impero prussiano con l’impero ottomano e successivamente con una forte immigrazione turca negli stabilimenti automobilistici in suolo tedesco e in particolare a Berlino nel Secondo dopo guerra.
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Ma torniamo ai giorni nostri. Il piano di investimenti, riporta il giornale al Monitor – che è nella fase finale dei colloqui con il governo turco, non ha però mancato di suscitare forti perplessità politiche in Germania, sull’opportunità di investire in un paese che secondo il report annuale della Unione europea ha gravi problemi del rispetto dello stato di diritto e della libertà di stampa.
L’insediamento industriale dovrebbe essere costruito nella provincia turca occidentale di Manisa, sulla costa egea, vicino a Smirne dove si prevede di investire 1,4 miliardi di euro in uno stabilimento che dovrebbe diventare operativo nel 2022-23, avere una capacità produttiva di 300.000 auto all’anno e creare 4.000 posti di lavoro.
erdogan merkel
Secondo Automotive News Europe lo stato del Qatar, che ha una quota del 17% in VW, avrebbe spinto per la costruzione della fabbrica in Turchia nel corso di una riunione del consiglio di amministrazione preferendola alla Bulgaria. Secondo il giornale tedesco Automobilwoche la produzione VW del nuovo stabilimento turco includerà i SUV compatti Skoda Karoq e Seat Ateca. Per ET auto.com le azioni del distributore turco di Volkswagen Dogus Otomotiv hanno avuto un forte incremento da luglio di quest’anno sull’onda del possibile investimento.
VOLKSWAGEN
In Turchia sono presenti da decenni circa 13 costruttori internazionali tra cui l’americana Ford e l’italiana FCA a Bursa entrambi in joint venture con la potente famiglia turca dei Koç. Le auto prodotte in Turchia per l’80% sono esportate in Europa e quindi devono rispondere ai requisiti ambientali della Ue. Volkswagen era stata coinvolta in una grave scandalo sulle emissioni diesel taroccate da un software che si è verificato nel 2015 negli Stati Uniti. Volkswagen ora ha cambiato completamente direzione e si è impegnata in piani di ammodernamento, compresi gli investimenti nella produzione di auto elettriche
La Turchia è stata preferita rispetto alla candidatura della Bulgaria che sperava di essere avvantaggiata dalla sua appartenenza alla Ue per accogliere il nuovo stabilimento per la produzione di auto a benzina e diesel della Volkswagen.
curdi in fuga
La Turchia, paese di 80 milioni di abitanti – dove operano circa mille aziende italiane e dove il gruppo italiano UniCredit possiede una quota in joint venture con la famiglia Koç la banca Yapi Kredi, una delle maggiori e dinamiche del paese – offre manodopera qualificata e giovane a basso costo e generosi incentivi, ma il governo filoislamico dell’AKP ha giocato l’asso per sbaragliare la concorrenza bulgara offrendo ulteriori vantaggi, tra cui una garanzia per l’acquisto di 40.000 veicoli all’anno. Una mossa vincente ma densa di possibili problematiche giuridiche.
LE PROTESTE DEI VERDI TEDESCHI
“Sarà interessante vedere il modo in cui il governo tedesco si occuperà dei piani di Volkswagen (azienda pubblica, ndr) per la costruzione di una nuova fabbrica in Turchia, che si tradurrà nel primo investimento diretto estero nel settore automobilistico turco in 22 anni”, ha scritto Erik Meyersson, Senior Economist presso Handelsbanken ed esperto di Turchia.
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Al Parlamento europeo, nel frattempo, un gruppo di deputati ha chiesto alla Commissione europea di verificare se il piano di investimenti Volkswagen sia conforme alle norme UE in materia di concorrenza, sostenendo che Ankara avrebbe offerto incentivi alle imprese per un valore di 400 milioni di euro oltre alla garanzia di acquisto di 40.000 veicoli all’anno.
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Uno dei sostenitori della interpellanza, Reinhard Butikofer del partito Verde tedesco, ha detto che la decisione di Volkswagen di investire in Turchia “provoca perplessità” data “la situazione sempre più deteriorata dello Stato di diritto, la libertà dei media e la democrazia sotto il Presidente Erdogan “. Gli europarlamentari ritengono inoltre che, scegliendo la Turchia, Volkswagen abbia danneggiato uno Stato membro dell’UE, riferendosi in particolare alla Bulgaria, che è stata l’altro principale concorrente dell’impianto.
Ora con l’invasione militare turca della Siria e l’attacco ai curdi le tensioni tra Ankara e la commissione di Bruxelles si faranno ancora più tese e la commissaria alla concorrenza, la liberale danese Margrethe Vestager, che succede a sé stessa nel ruolo di commissaria, ancora più attenta su possibili deviazioni alla normativa sugli aiuti di stato.