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    VOLLEY, FORTISSIMAMENTE ITALVOLLEY! L’OMAGGIO ALLA "GENERAZIONE DEI FENOMENI" DI VELASCO CHE 30 ANNI FA SI LAURO' CAMPIONE DEL MONDO. LA "FILOSOFIA" DI QUELLA SQUADRA. A COMINCIARE DALLA LOTTA ALLA "CULTURA DEGLI ALIBI" - VELASCO: "SONO ORGOGLIOSO DI AVERE CONTRIBUITO A DISTRUGGERE UNA MENTALITÀ, TIPICAMENTE ITALIANA” – LORENZO BERNARDI: “NON ERAVAMO AMICI, QUANTE CE NE SIAMO DETTE CON ZORZI” - 10 DI QUEI CAMPIONI SONO POI DIVENTATI ALLENATORI – VIDEO


     
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    Da “la Gazzetta dello Sport”

     

    italvolley 1990 italvolley 1990

    Esattamente 30 anni fa, il 28 ottobre del 1990 nell' immenso palasport di Rio de Janeiro (il Maracanazinho) l' Italia di Velasco battendo 3-1 Cuba in finale si laureava, per la prima volta, campione del Mondo. Un successo che poi venne ripetuto nel 1994 e nel 1998. Un ciclo leggendario che portò la Federazione Internazionale a incoronare quel gruppo Squadra del Secolo.

    Dieci di quei campioni sono poi diventati allenatori, anche se oggi Cantagalli e Martinelli hanno altre professioni.

     

    2 - «QUELLA SQUADRA CAMBIÒ LA STORIA IL GRUPPO VENIVA PRIMA DEL SINGOLO»

    Luca Pasini per “la Gazzetta dello Sport”

     

    ZORZI LUCCHETTA VELASCO ZORZI LUCCHETTA VELASCO

    L' eco dei tifosi del Maracanazinho di Rio de Janeiro ronza ancora nelle orecchie, anche senza accendere il pc per guardare su Youtube le immagini sbiadite ed epiche di quelle partite, che oggi - 30 anni fa - portarono all' Italia il primo titolo mondiale in assoluto. La battaglia in semifinale contro il Brasile padrone di casa, davanti a 27 mila (il numero preciso non verrà mai conosciuto) torceador e poi, appunto il 28 ottobre 1990, la vittoria contro la bestia nera, Cuba, in finale.

    IL GESTO DELL OMBRELLO DI JULIO VELASCO IL GESTO DELL OMBRELLO DI JULIO VELASCO

     

    Con la schiacciata conclusiva di Lorenzo Bernardi che proiettava l' Italia nella leggenda e in una festa alcolica a base di caipirinha. «Cosa è rimasto di quel successo?- spiega Julio Velasco, ct di quella Italia e uomo simbolo di quel cambiamento - Tanto. Tantissimo. Nel 1978 il Paese aveva scoperto la pallavolo per la prima volta con l' argento al Mondiale di Roma, ma come diceva il tecnico di allora, Carmelo Pittera, "2+2 deve fare 5 perché l' Italia possa arrivare in finale".

    andrea lucchetta andrea lucchetta

     

    Solo una volta ogni tanto poteva accadere che l' Italia si inserisse fra le migliori del mondo. Con le vittorie dell' Europeo '89 e poi ancora di più del 1990 l' Italia maturò la consapevolezza di poter essere una nuova potenza della pallavolo internazionale. Cosa che poi in effetti successe. Ma il grande cambiamento si ebbe per i giocatori, per gli allenatori. In quegli anni molti tecnici arrivavano dall' estero. Oggi gli allenatori italiani sono diventati famosi in tutto il mondo e sono molto richiesti. Allora non era così.

     

    Senza nominare i grandi cambiamenti che si registrarono nelle società, nella Lega, nell' organizzazione dei club in contemporanea a quelle vittorie». Ma c' è molto di più. «Era passato un concetto differente.

    lorenzo bernardi lorenzo bernardi

     

    Che il grande lavoro, l' impegno, la determinazione, oltre al valore dei singoli, potesse fare la differenza. Il metodo di lavoro in palestra, la quantità di ore che facevamo in quegli anni portò il grande mutamento».

     

    Anche culturale. Non è un caso che il soprannome Generazione di Fenomeni (coniato per quella squadra nel 1994 da Jacopo Volpi mentre raccontava sulla Rai il secondo successo iridato) venne cambiato dagli stessi protagonisti (pare che il copyright di quella definizione sia di Andrea Gardini) che raccontava come quella squadra era diventata la numero 1 al mondo proprio attraverso le ore di lavoro in palestra, le sfide in famiglia e l' abnegazione al sacrificio. Con oltre 50 partite giocate nell' estate del '90.

     

     

    bernardi zorzi bernardi zorzi

    Con queste premesse non è difficile comprendere come di quella squadra composta di 12 atleti, ben 10 abbiano intrapreso (a diversi livelli) la carriera di allenatore. Alcuni di loro sono poi arrivati al vertice mondiale (in 3 allenano oggi in Superlega, Bernardi, De Giorgi Giani e uno nella Plusliga polacca, Anastasi). «Questa è una cosa che mi rende molto felice - racconta ancora Velasco che dopo un altro giro del mondo è tornato alla Federazione italiana ed è il d.t. delle Nazionali giovanili maschili -.

     

    cattaneo piccinini malagò bianchedi bernardi e la moglie cattaneo piccinini malagò bianchedi bernardi e la moglie

    Che tanti di quei ragazzi, oggi uomini, siano diventati allenatori e portino avanti a modo loro quei valori. I due che non hanno scelto questa carriera sono rimasti a tutti gli effetti in questo mondo e sono diventati divulgatori della pallavolo. Andrea Lucchetta con la sua attività legata al volley dei più piccoli e come commentatore sulle reti Rai. Andrea Zorzi commentatore e giornalista in questi anni hanno raccontato e spiegato la pallavolo». Contribuendo a spargere i semi di quei concetti che erano la base della cultura di quella Italia e dello stesso Velasco.

     

    Assieme alle schiacciate e alle difese dei vari Tofoli e Gardini su internet si trovano decine di video che raccontano la "filosofia" di quella squadra. A cominciare dalla lotta alla "cultura degli alibi" e al principio che "in campo non si molla mai". «Sono particolarmente orgoglioso di avere contribuito a distruggere una mentalità, tipicamente italiana, che ancora oggi, non solo nello sport, trova tanti adepti - continua Julio Velasco -.

     

    bernardi bernardi italia cuba 1990 italia cuba 1990

    Quella appunto della cultura degli alibi. Trovare sempre una giustificazione o una scusa per quello che non si riesce a fare. Sono molto contento che quei valori oggi continuino a girare nella pallavolo grazie anche a quel gruppo. E non parlo, appunto, solo degli alibi, ma di molto altro. Dal non mollare mai, al rispetto degli avversari. Pur vincendo tanto quella squadra non è mai stata arrogante con chi era dall' altra parte della rete. E soprattutto ha saputo perdere.

     

    Dignitosa nelle vittorie quanto nelle sconfitte, anche quando furono molto dolorose, come all' Olimpiade (prima quella del 1992 e poi ancora quella del 1996 terminata con l' argento, ndr)». Mai quel gruppo, anche molti anni dopo, ha tradito l' ideale e lo spirito di squadra.

     

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    Conflitti e problemi restarono chiusi (forse per sempre?) nello spogliatoio. «Credo che quello spirito potrebbe essere molto utile ai tempi che stiamo attraversando. L' obiettivo comunque che aveva il gruppo era il bene supremo da difendere. Non era necessario essere tutti amici, andare fuori assieme la sera. Ma alla base c' erano il rispetto. Il singolo arrivava dopo. Quell' ideale comune che si trova in tanti esempi nel mondo dello sport italiano (io all' epoca parlavo degli Abbagnale o di Maenza, ma dopo di noi ce ne sono stati tanti altri).

     

    italvolley italvolley

    Lo sport può essere fonte di ispirazione in questo periodo di pandemia. In Italia spesso denigriamo quello che abbiamo come se fosse il male assoluto, senza renderci conto che all' estero c' è chi sta anche molto peggio di noi. E lo "spirito di squadra" è un bene fondamentale per provare uscire da questa crisi...».

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