Lucio Caracciolo per “la Repubblica”
saif al-islam gheddafi
La Libia non c'è più dal 2011, ma il suo fantasma continua ad agitare i nostri sonni. Al di là del Canale di Sicilia è in corso una furiosa guerra fra potenze per interposti miliziani e tagliagole a noleggio. L'Italia non vi partecipa, ma rischia di esserne la prima vittima. La frenetica attività diplomatica di questi giorni, dopo mesi di sonnacchioso attendismo (aspettando Godot), potrà forse incollare qualche cerotto su ferite troppo profonde per essere sanate. Ma il lascito dell'avventura promossa nove anni fa dalla Francia e dall'Inghilterra con il decisivo sostegno americano per sbarazzarsi di Gheddafi, è per noi disastroso. Dovremo abituarci a scrutare la quarta sponda come uno spazio incontrollato di minacce permanenti.
NAPOLITANO E GHEDDAFI 2
È venuto il tempo di riconoscerlo e di trarne qualche lezione, che potrà servirci anche altrove. La prima, fondamentale, è che quando quasi tutti si armano e sono pronti a impiegare la forza per difendere i propri interessi noi non possiamo usare i nostri militari come badanti, infermieri, logisti o vigili urbani. Tantomeno dobbiamo indulgere nel falso e soprattutto pericoloso mito della "brava gente".
Altrimenti potremo avere mille ragioni ma non la risorsa decisiva per giocarle al tavolo del negoziato. Così non schieriamo uomini, solo potenziali bersagli. E finiamo coinvolti in guerre altrui, senza sapere con chi siamo e in nome di quali interessi spendiamo le nostre risorse. O peggio, come nella fase iniziale della partita libica, le spendiamo contro i nostri interessi, per avere un posto a tavola. Salvo scoprirvici afasici.
SAIF GHEDDAFI
Nello specifico: che ci abbiamo fatto, facciamo, faremo con i circa 300 uomini a Misurata in missione sanitaria, mentre le milizie misuratine sparano per respingere l'offensiva di Haftar su Tripoli e Sirte? E dobbiamo stupirci se, contrariamente a quanto annunciato, il patetico "capo" della Tripolitania, Fayez al Serraj, il cui futuro è legato a quello di Misurata, non si è presentato a Palazzo Chigi, dove Conte aveva appena visto il suo rivale, Khalifa Haftar?
SARKOZY GHEDDAFI
Se vogliamo contare, in quel che resta della Libia o altrove, serve rispettare tre regole di base. Primo: sapere quel che vogliamo. Secondo: individuare gli attori sul terreno con cui misurarci e negoziare. Terzo: avere a disposizione le risorse militari ed economiche - anche per affittare clienti, come fan tutti - necessarie ad avanzare la nostra causa. Nel teatro libico, dove oltre cent'anni fa Giolitti mosse la "grande proletaria" in cerca di un posto al sole, non abbiamo ottemperato ad alcuno dei tre imperativi.
sarkozy gheddafi
A partire dalla scelta suicida di partecipare alla caccia a Gheddafi lanciata dai francesi senza avere alcuna credibile alternativa. Quel vuoto attende ancora di essere riempito, e probabilmente non lo sarà. La nostra frontiera sud resterà contesa e/o spartita fra gli attori che vi si stanno impegnando, sapendo quel che vogliono e possono. Francia, Turchia, Russia, Egitto con i suoi sponsor emiratini e altri arabi del Golfo, più gli americani sullo sfondo, pronti a intervenire nel caso la crisi dovesse diventare strategica.
saif al islam gheddafi
Uno sguardo a dove eravamo fino a dieci anni fa in Nordafrica e dove siamo oggi misura l'abisso nel quale siamo precipitati. Al Cairo c'era Mubarak, con il quale avevamo rapporti consolidati, oggi c'è al Sisi, certamente non più liberale del predecessore, con cui quasi di nascosto tentiamo di ricucire lo strappo difficilmente rimediabile del caso Regeni.
A Tripoli, Gheddafi, da sempre nostro protetto - perché protettore dei nostri interessi energetici e contro lo spettro della "invasione" dei migranti - è stato sostituito da caos e guerra. A Tunisi, la fuga di Ben Ali, da noi insediato con un colpo di Stato soft al posto dell'esausto Bourghiba, ha avviato un fragilissimo processo che per autoconsolazione abbiamo spacciato per "miracolo" democratico. Per tacere dello hirak, il movimento che scuote l'Algeria - Paese alla cui indipendenza contribuimmo, contro la Francia - , l'incognita che speriamo resti tale, viste le conseguenze incalcolabili della sua implosione.
"La Prima Repubblica, tu cosa ne sai?", cantava Checco Zalone. Forse un ripasso di quel modo di stare al mondo, ricordando come agimmo non secoli fa ma l'altro ieri, contribuirebbe a invertire la rotta. E a recuperare parte del tempo perduto. Prima che scada.
GHEDDAFI
2 - A SIRTE LA NOSTALGIA PER GHEDDAFI E ORA HAFTAR PUNTA SU MISURATA
Vincenzo Nigro per “la Repubblica”
Quanto conta Sirte? Quanto è importante questa città a cui ha dato l' assalto la milizia di Khalifa Haftar? Cosa è stata nella vita e nella storia della Libia? L' uomo "dai calzini bianchi", l' agente dei servizi italiani che era stato ribattezzato così da uno dei suoi capi, l' aveva previsto da giorni: «Quando Haftar dovrà accelerare, proverà ad attaccare Sirte». Quanto è importante Sirte lo decideranno solo i prossimi giorni. Se le milizie di Misurata riusciranno a riconquistarla come si preparano a fare, Sirte rimarrà al suo posto, nella storia nevrotica della Libia di questi anni di guerra civile. Altrimenti diventerà la Caporetto di Serraj, una sconfitta che metterà in pericolo Tripoli e la città alleata di Misurata.
gheddafi era bisessuale
Da Est e da Sud i soldati e i mercenari di Haftar lunedì hanno attaccato e sono entrati nella città che diede i natali a Muhammar Gheddafi.
Lo stesso luogo che per qualche mese fra il 2015 e il 2016 è stato la capitale dell' Isis in Nordafrica. Dopo averla liberata nel 2016, le milizie di Misurata si ritirarono in gran parte nella loro città. Lasciando il controllo di Sirte a una milizia composta da elementi locali. Innanzitutto la "Brigata 604", un gruppo salafita- madkhalita. È il gruppo che ha tradito il governo di Tripoli e le milizie di Misurata.
Ma non senza ragione: innanzitutto a Sirte tutti o quasi tutti sono rimasti gheddafiani. La sua tribù Qaddafjia è originaria della regione. Una tribù alleata, i Furjiani, è quella di cui fa parte lo stesso generale Khalifa Haftar e che ha fornito uomini alla "604". Quindi, più che una conquista militare, ottenuta da Haftar con scontri sul campo, quella di queste ore è stata una resa oppure un cambio di bandiera. Lunedì a Sirte gli haftariani sono stati accolti con le bandiere verdi della Giamahiria gheddafiana, e perfino da poster del colonnello che qualcuno aveva nascosto per tutto questo tempo.
gheddafi prima di essere giustiziato
Gheddafi aveva dato molto alla sua città natale. Nella sua megalomania aveva previsto di trasferire il governo a Sirte, aveva fatto costruire ministeri, palazzi e case per ministri e funzionari. Terrorizzando tutti quelli che non avrebbero mai voluto abbandonare Tripoli. Gheddafi aveva fatto costruire a Sirte il "Centro Ouagadougou", un complesso per congressi in cui si tenne il vertice Unione Africana-Unione Europea in cui il colonnello libico provò a consolidarsi come padre protettore dell' Africa.
il colonnello gheddafi
Vediamo se le milizie di Misurata riusciranno a riprendere Sirte: ne hanno la capacità, di sicuro, rispetto alle milizie di Haftar. Ma al momento non hanno appoggio aereo, e soprattutto se sguarniscono la loro città e la stessa difesa di Tripoli, potrebbero creare un serio problema alla difesa stessa del governo Serraj. La perdita di Sirte per Misurata oltre a essere un problema militare è una questione "psicologica": nel 2016 per riprendere Sirte dalle mani dei terroristi dell' Isis, i misuratini combatterono per 10 mesi.
Allora avevano l' appoggio delle Special forces americane e britanniche, dei caccia AV8B dei marines imbarcati sulla "USS Wasp", perfino di bombardieri che decollavano direttamente dagli Stati Uniti per venire a colpire il Daesh al centro della Libia. Adesso quei morti bruciati sull' altare di una battaglia combattuta per l' Occidente pesano molto sulla coscienza della città. Morire per Sirte per Misurata è stato assai doloroso, tornare a combattere per Sirte sarà ancora più difficile.