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    WALL STREET AD UN PASSO DAL RECORD - L’INDICE DOW JONES VEDE QUOTA 20 MILA - E’ IL RISULTATO DELLE POLITICHE DI OBAMA E DELLE PROMESSE DI TRUMP - MA QUANTO DURERA’? - LA FED, LA BANCA CENTRALE, AUMENTERA’ A BREVE I TASSI E PER LE IMPORESE USA SARA’ PIU’ DIFFICILE ESPORTARE


     
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    Federico Rampini per la Repubblica

     

    donald melania ivanka trump e jared kushner donald melania ivanka trump e jared kushner

    È il record di tutti i tempi, e ci siamo ormai vicini. Il mitico tetto dei 20.000 punti è alla portata dell’indice Dow Jones. “La Borsa dei nostri sogni” la chiama il Wall Street Journal. Ed è tutto merito di Donald Trump. O almeno, così sembra in apparenza. Rovesciando gli scenari apocalittici che avevano loro stessi convalidato alla vigilia del voto in caso di flop dei sondaggi, dall’8 novembre lo shock-Trump ha esaltato gli investitori, proiettando gli indici azionari sempre più su. E sì che lo stesso Trump, quando faceva campagna elettorale, su questa Borsa gettava discredito, forse pure malocchio.

     

    Pur di mettere in una luce negativa l’economia di Barack Obama, nei comizi Trump parlò più volte di una «bolla speculativa creata dalle manipolazioni politiche della Federal Reserve, e pronta a scoppiare». Chissà se è perché credeva davvero al disastro imminente, o se invece lo ha fatto per ridurre i propri conflitti d’interessi: Trump ha liquidato gran parte del suo portafoglio azionario. O almeno, così dice lui, e come sempre dobbiamo credergli sulla parola. Magari sarà stato un affarone, se davvero c’è bolla e sta per scoppiare.

    OBAMA E WALL STREET OBAMA E WALL STREET

     

    La salute esuberante di Wall Street, l’avvicinarsi di massimi storici come la “quota ventimila”, hanno delle solide ragioni. E al tempo stesso, da Wall Street si alzano voci pessimiste. Cominciando dalle prime: impossibile non dare a Obama il merito che gli spetta. Trump eredita un’economia vigorosa. Il Pil nell’ultimo trimestre cresceva del 3,2%, a novembre sono stati creati altri 178.000 posti di lavoro aggiuntivi, perfino i salari finalmente aumentano del 2,5%, il mercato immobiliare ha ritrovato i prezzi pre-crisi.

     

    Sulla qualità di questa ripresa, che ormai supera i sette anni biblici e ha creato 15,5 milioni di posti di lavoro, Trump aveva gettato ogni sorta di dubbio durante la campagna. «Non credete alle cifre fasulle del governo quando parla di disoccupazione sotto il 5%, in realtà è al 35%, ho sentito dire che forse è perfino al 42%». Così il tycoon sparava a zero sulle statistiche ufficiali, col solito metodo del “sentito dire” che è un classico nell’era delle fake-news.

    senzatetto homeless 2 senzatetto homeless 2

     

    Un briciolo di verità nel suo scetticismo c’è: il tasso di disoccupazione ufficiale va accompagnato dall’avvertenza che la partecipazione alla forza lavoro è storicamente bassa, troppi adulti americani sono usciti dal mercato del lavoro. Ma questi sono problemi strutturali di lungo periodo, nulla tolgono al fatto che Obama ereditò un’economia agonizzante da un repubblicano, e la restituisce in condizioni incomparabilmente migliori a un altro repubblicano. Il boom di Borsa che c’è stato dopo l’8 novembre, si aggiunge ad una lunga serie di rialzi avvenuti in precedenza.

     

    Steven Mnuchin Steven Mnuchin

    La spinta propulsiva in più, che oggi viene da Trump, è legata alle sue promesse: questo presidente ha detto che ridurrà le tasse a tutti — in particolare ai ceti abbienti e alle imprese. Nei suoi programmi c’è tanta deregulation, in particolare a favore dell’energia fossile. Infine c’è il piano da 1.000 miliardi di investimenti “misti” (pubblico- privati) in infrastrutture. Una Bengodi, soldi a gogò per tutti o quasi (salvo quei concorrenti sleali dei cinesi e messicani). Ci mancherebbe che Wall Street non fosse di buonumore.

     

    Ironia della sorte, a smorzare l’euforia ci pensano le ultime previsioni della Goldman Sachs, proprio la banca che ha piazzato un altro dei suoi uomini a dirigere il Tesoro (Steven Mnuchin). Non che sia catastrofista, però Goldman oggi suona come la più cauta. La sua argomentazione: è tanto bello il piano Trump, ma quando dovrà farlo passare al Congresso, potrebbero arrivare brutte sorprese. Nei ranghi parlamentari del partito repubblicano ci sono tanti conservatori “classici”, falchi anti-deficit, che non si presteranno facilmente ad una manovra espansiva.

     

    JANET YELLEN JANET YELLEN

    Poi c’è l’incognita monetaria: la settimana prossima la Fed alzerà i tassi, ed è probabile che il 2017 veda altri rincari del costo del denaro. L’aumento dei rendimenti americani continuerà ad attirare capitali dal resto del mondo (la Cina è costretta a mettere restrizioni all’uscita di fondi), rafforzando il dollaro. Il Superdollaro non fa bene alle multinazionali Usa che esportano. Tanto più quando queste multinazionali rimpatriano i profitti e se li trovano “svalutati” dall’indebolimento dell’euro, yen o renminbi. All’interno degli Stati Uniti, lo strapotere repubblicano potrebbe rivelare presto le linee di frattura interne alla destra. All’estero, molti paesi emergenti già soffrono. La “ripresa Obama” è stata talmente lunga, che in base alla storia sono ormai maturi i tempi di una nuova recessione. Se il boom provocato dalla vittoria di Trump dovesse rivelarsi l’ultimo dei fuochi d’artificio, lui potrà ribattere: ve l’avevo detto.

     

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