Estratto dell'articolo di Emanuela Audisio per "Il Venerdì di Repubblica"
IL MIO CALCIO FURIOSO E SOLITARIO DI WALTER SABATINI
Il cacciatore di piedi ha scritto il suo primo libro: Il mio calcio furioso e solitario (Piemme). Walter Sabatini, 67 anni, umbro, ex giocatore, insolito direttore sportivo, tra i più famosi d'Italia […] si racconta. Del suo mestiere troverete poco: compra, vende, presta calciatori, scopre talenti nel mondo. Dei suoi traumi tutto. Avviso ai librai: non mettetelo nella sezione sport. […]
Scrive: non volevo essere quello che gli altri hanno raccontato.
" Vero. Niente caricatura di me stesso: il fumatore e il lettore incallito, l'uomo dei vizi, dei tre pacchetti di sigarette e dei 15 caffè al giorno, delle citazioni letterarie, lo sciamano del calcio, quello che non riesce a separare la vita dalla palla che rotola, che passa le notti al telefono, che non tralascia di aspirare niente Vi prego, non voglio essere una macchietta, anche se ho fatto di tutto per suicidarmi, senza successo. Il mio corpo è ferito perché non gli ho risparmiato niente, l'ho usato, ne ho abusato, ho vissuto tutto con lui: sesso, scontri, rabbie, viaggi.
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Ma ho sopravvalutato le mie energie pensando di poter far tutto, anche con stress e polmonite, e anche dopo l'asportazione di un tumore. […] Sono stato due volte in coma, con la dottoressa che continuava a ripetere: lo perdiamo. Io invece volevo rischiare di vivere e puntare sulla mia bassa (per gli altri) percentuale di riuscita. Azzardare mi piace, ma le mie coronarie dimostrano che non sono un duro […]".
[…]
Però i direttori sportivi non scrivono di tramonti alla Pessoa.
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"[…]Leggere aiuta, dilata i pensieri, consola, anche perché nessuno è soddisfatto della propria vita. Il libro è per mio figlio Santiago che ha 18 anni, l'ho scritto al cellulare, inviavo le frasi via WhatsApp a un'amica, l'avvocata Angelica Alessi, che le trascriveva al computer e mi rimandava il file. Mi è servito perché per la prima volta a luglio e ad agosto, mesi non di vacanza per chi fa il mio mestiere, mi sono trovato senza calcio di cui occuparmi. Avevo bisogno di ritrovarmi, ero in crisi d'identità[…]".
Il gesto di violenza di suo padre Remo?
"Capitò una volta sola, io e mia sorella sentimmo urla provenire dalla cucina. Trovammo mia madre Lina, disperata, in lacrime. Lui l'aveva picchiata. Andammo subito in treno dai nonni, mio padre venne a riprenderci, provò a raccontare un'altra versione della storia, lo smentii, mi diede un buffetto, non so quanto amichevole[…]. Restò un episodio isolato, […]".
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Suo padre lavorava alla Perugina e profumava di cioccolato.
"Sì, ma aveva avuto un incidente stradale, forse trascurato, che l'aveva cambiato, aveva spesso attacchi, crisi e depressioni. Da piccolo mi lasciava guidare la sua Seicento in cortile, un giorno aprii il cassetto del cruscotto e trovai una sua lettera indirizzata a mia madre dove si diceva che in caso fosse morto non doveva accettare aiuto da parte di nessuno. Ci rimasi male, voleva suicidarsi? Non ne parlai mai con lui, ma per me fu terribile. […]".
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Poi arrivò la tragedia di Curi, suo compagno nel Perugia.
"Renato morì durante la partita contro la Juve, nell'ottobre 1977, tradito dal cuore. Aveva solo 24 anni. Iniziò a piovere, cadde a faccia in giù su una pozzanghera. Ero in panchina, gli altri credevano gli avesse ceduto il ginocchio, io no, capii subito, dal suo viso nel fango, rientrai nello spogliatoio sapendo che era morto. […] Quella notte per stordirmi mi ubriacai di whisky, scrissi anche una poesia, sulla ferocia dell'ingiustizia. Ci penso sempre: io sono vivo, lui no".
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Vogliamo virare verso la vita?
"Non ce la faccio, mi sento colpevole di tutto, di ogni sconfitta, di qualsiasi cosa capiti attorno a me, anche delle macerie, di non aver portato lo scudetto alla Roma, di aver tolto un sogno alla gente, quella cosa che non successe mi pesa e mi marchia. Abbiate un po' di pazienza, rispondo. Chissà se tutto nasce dal giorno in cui dissi no alla merenda di mio nonno.
Avevo 12 anni, mi allenavo sul campo della Nestor Marsciano, abbastanza lontano da casa, lui già vecchio e malato, era venuto a portarmela, io stizzito, la rifiutai, non volevo essere preso in giro dai compagni. Vidi il nonno andare via deluso e sconsolato, poco dopo morì".
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Non è per senso di colpa però che spesso lascia gli incarichi.
"Nel libro parlo di esagerate interruzioni consensuali. Non sopporto chi insulta i miei uomini, anzi non lo permetto. Saputo, il presidente del Bologna, ha urlato: questa è una squadra di merda. Per messaggio gli scrivo che il responsabile sono io e che ci sta che me ne vada. Lui il giorno dopo concorda. Alla Sampdoria ho fatto quasi a botte con il presidente Ferrero perché inveiva contro l'allenatore Giampaolo dopo una brutta partita persa a Bologna.
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A Perugia ho litigato con Alessandro Gaucci perché senza avvisarmi aveva mandato via un collaboratore. In otto mesi mi sono escluso da due grandi società, Roma e Inter. Tendo a essere una persona libera, anche se schiava di molti vizi; quando Adriano Galliani, molto simpatico, mi cercò per il Milan, non se ne fece nulla perché lui mi avvisò".
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Di cosa?
"Che Berlusconi era il primo direttore sportivo del Milan, lui Galliani, il secondo, io Sabatini sarei stato il terzo. Grazie, risposi, resto alla Roma. Sempre più i presidenti vogliono fare il loro calcio, ma io sono un Ds vero, non si tratta di avere idee vecchie o nuove, ma di giuste priorità. […]".
In coma farmacologico lei sognava il calcio.
"Sì, nel mio delirio ero arrabbiato perché non mi passavano la segreteria vaticana, sapevo che papa Francesco, da tifoso, stava cercando di rafforzare la squadra del San Lorenzo. E non vengono a chiedere consigli a me sul mercato argentino?".
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Aspetta ancora una chiamata?
"Sì, sono fermo da un anno, ho crisi di astinenza, ma sono anche curioso di questo libro. Voglio sia un successo, non posso sopportare un fallimento. Avevo scelto un altro titolo: Ero nebbia, pubblico e pallone. È la mia immagine del calcio. L'importante è che mio figlio Santiago capisca. Lui è il mio guardrail, prova a salvarmi, ogni volta che mando a sbattere la mia vita".