Riccardo Crivelli per la Gazzetta dello Sport
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La vecchiaia è come tutto il resto. Per renderla un successo, devi iniziare da giovane. C' era chi portava lo chignon, chi indossava i pinocchietti con le t-shirt smanicate e ancora chi si produceva in campo nelle imitazioni degli avversari per accattivarsi il pubblico e cercare così la confidenza per affrontare gli altri due satanassi. Federer, Nadal e Djokovic, in ordine di apparizione su un palcoscenico che da oltre 15 anni non può più fare a meno di loro, adesso hanno le rughe che solcano il viso, i corpi ammaccati da mille battaglie e seri infortuni, nonché figli e mogli presenti e venture. Ma non hanno perso il dono che accompagna i campioni verso l' immortalità: vincere. Anche se per loro il dominio è l' unica ragione di vita.
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Rieccoli, 12 anni dopo, tutti insieme appassionatamente nelle semifinali di Wimbledon, che è anche la 13ª volta in cui il trio approda a braccetto al penultimo atto di uno Slam. Alla festa stavolta si imbuca il tignoso Bautista, che aveva già prenotato le vacanze a Ibiza con sei amici e si ritrova tra gli eletti: due spagnoli negli ultimi quattro del tempio verde non era mai accaduto. E i conti sono presto fatti: 37 anni e 11 mesi Roger, 33 e un mese Rafa, 32 e due mesi Nole, 31 e 3 mesi il valenciano, con il totale che fa 134 anni e 5 mesi.
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Ovviamente, le semifinali più datate di sempre dell' Era Open. Il tennis è decisamente un paese per vecchi, e ce ne siamo accorti vedendo svanire partita dopo partita le energie e le ambizioni di due generazioni, quella dei nati nei primi anni 90 e poi la Next Gen, che nei quattro tornei più importanti non sono mai state da corsa, mentre gli over 30 si prendevano il mondo con qualità, intelligenza, ferocia agonistica. Esiste una statistica emblematica: Thiem è l' unico tennista attualmente attivo sotto i trent' anni (ne fa 26 a settembre) ad aver vinto un set in una finale Slam. È accaduto a Parigi un mese fa. Alla sua età, Federer era a quota 11 Major.
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E infatti, con il successo non semplice contro Nishikori, favorito nel primo set dal dimesso servizio del rivale, il Maestro festeggia il 100° match vinto a Wimbledon, diventando il primo centenario della storia: «A dire il vero non me lo ricordavo, me l' ha detto un tifoso alla fine mentre gli firmavo l' autografo». Il belga Cristophe Rochus, nel 2001, fu la vittima iniziale, poi ci sono stati otto trionfi e, con questa, 13 semifinali. Con l' emozione, domani, di ritrovare un antico amico che qui non vedeva da tempo, Nadal, per il 40° episodio della loro rivalità.
A Church Road, e in generale sull' erba, non si affrontano dalla memorabile finale del 2008 vinta dal maiorchino: «Sarà molto bello giocare di nuovo contro di lui a Wimbledon - ammette lo svizzero -. Mi ricordo che alla fine di quell' anno, dopo i suoi primi infortuni, in molti dicevano che era finito, e a me successe la stessa cosa nel 2009. Ebbene, siamo ancora qui, anche se capisco fosse difficile immaginare che noi due, e anche Novak, potessimo dominare così a lungo».
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Nadal, per regalarsi l' appuntamento di gala, disinnesca in risposta il braccio armato di Querrey, che coraggiosamente prova a restare in partita per due set ma alla fine viene travolto da 10 ace e 44 vincenti: «Alla mia età devo correre meno e quindi battere meglio, non posso più iscrivermi a 20 tornei, le possibilità di vittoria calano e dunque per restare competitivo devo migliorare i dettagli. Ho saputo riadattare il mio gioco, e la stessa cosa ha fatto Federer».
E pure Djokovic, partito da lontano soprattutto mentalmente per approdare al livello di quei due e oggi, per sua stessa ammissione, «vicino alla mia miglior forma di sempre». Se ne accorge il povero Goffin, che non sa più dove sbattere la testa quando Nole, sotto di un break nel primo set, dal 4-3 30-0 per il belga infila dieci game consecutivi con pugnalate chirurgiche agli angoli e un servizio che non consente mai all' altro rimesse in gioco aggressive.
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Perfezione sfiorata, e anche se con Bautista ha perso già due volte quest' anno (a Doha e a Miami sul cemento), è difficile immaginarlo fuori dalla finale: «Sono orgoglioso di far parte di un piccolo gruppo di ultratrentenni che sta facendo la storia. Ho risposto tante volte alle domande sui giovani, alla fine succederà che prenderanno il nostro posto. Ma negli Slam non è ancora arrivato il momento, in questi tornei Roger, Rafa e io siamo ancora in grado di alzare il livello. Siamo come il Sassicaia che ogni tanto mi piace bere: miglioriamo con il tempo, siamo un vino d' annata». In alto i calici: il fantastico trio non ha ancora esaurito i brindisi.
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