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    WOODY, TU QUOQUE? – MATTIOLI: "ALLEN ALLA SCALA TRA APPLAUSI E STEREOTIPI PIZZA E MANDOLINO. PER GLI STRANIERI L'ITALIA RIMANE QUELLA ROBA LÌ, UN ETERNO NEOREALISMO DA PEZZE AL CU*O, CHE PERÒ CON L'OPERA C'ENTRA POCO (FOSSE “CAVALLERIA RUSTICANA”, MAGARI...) E CON LO “SCHICCHI” NULLA - CHE IL CLICHE’ SIA DURO A MORIRE PER IL TURISTA IN TORPEDONE, PASSI. CHE CI CASCHI ALLEN, È STRANO. CHE LO PERPETUI LA SCALA, INQUALIFICABILE. MA FORSE È…" - VIDEO


     
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    Alberto Mattioli per “la Stampa”

     

    woody allen gianni schicchi woody allen gianni schicchi

    Certo, è stato strano ma bello vederlo acclamato, sabato, sul sacro palco della Scala. In fin dei conti, è l' uomo che ci fa ridere, e talvolta pensare, da più anni di quanto ci piaccia ricordare. Ed eccolo qui, Woody Allen in carne (pochissima) e ossa, vestito da Woody, camicia azzurra e pantalone beige e con la faccia da Woody, aria stralunata e leggermente sbigottita, modello «che ci faccio qui», domanda peraltro che non era l' unico a porsi.

     

    Che cosa abbia fatto alla Scala è presto detto: la sua regia del «Gianni Schicchi» di Puccini, del resto già vista e rivista a Los Angeles, a Spoleto e perfino in dvd. D' altronde in Italia una regia d' opera non si nega a nessuno. Ce ne sono toccate di Sgarbi e Signorini, figuriamoci se ci scandalizziamo per Allen. Che poi nello specifico sia uno spettacolo mediocre, lo sapeva chiunque l' avesse già visto. Anzi, qui è meglio o meno peggio. Forse intimidito dal Tempio, mister Allen ha tolto, o gli hanno fatto togliere, alcune delle caccole più modeste e moleste.

     

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    Il problema non è questo. E nemmeno che lo «Schicchi», capolavoro ipertoscano di umorismo macabro, dovrebbe svolgersi a Firenze il primo settembre 1299 mentre Allen lo colloca sempre a Firenze ma in una specie di basso da immigrati italiani, Broccolino sullo sfondo della cupola del Brunelleschi.

     

    Nulla di grave: all' opera le trasposizioni temporali sono quasi sempre lecite e talvolta indispensabili. Il guaio vero è che siamo sempre al punto di partenza: per gli stranieri l' Italia rimane quella roba lì, panni stesi e spaghetti fumanti, coltello facile e gesticolazioni, donne scarmigliate e mafiosi col baffo (Ambrogione Maestri che fa Gianni indossa un gessato a due piazze che risulterebbe eccessivo anche per Al Capone). Woody, tu quoque?

     

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    Certo, poi talvolta noi stessi ci marciamo, vedi il successo anche internazionale delle varie Gomorre e Suburre. Ma così siamo condannati a un eterno neorealismo da pezze al culo, che però con l' opera c' entra poco (fosse «Cavalleria rusticana», magari...) e con lo «Schicchi» nulla.

     

    La finezza anche melanconica e nera della commedia all' italiana diventa una greve farsaccia. Che lo stereotipo pizza e mandolino sia duro a morire per il turista in torpedone, passi. Che ci caschi Allen, è strano. Che lo perpetui la Scala, inqualificabile. Ma forse è solo un calcolo cinico.

     

    Intanto se n' è parlato, il teatro era pieno, i ragazzi dell' Accademia hanno avuto visibilità ed è quasi passata in secondo piano la direzione puccinicida di Adam Fischer, roba da anestesia totale. I turisti che affollavano la Scala hanno pure ragliato felici la loro approvazione per il cliché cotto e mangiato. Adesso saranno a Venezia ad abboffarsi di spaghetti alla bolognese mentre il gondoliere canta «O sole mio» sul Banal grande.

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