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Non ci sarà dibattito sullo Xinjiang al Consiglio Onu per i diritti umani. La Cina ha vinto la sua partita di potere all'assemblea di Ginevra, riuscendo a far bocciare la mozione occidentale che chiedeva di mettere in calendario una discussione sulle accuse di gravi violazioni dei diritti umani e civili commesse (secondo un dossier delle Nazioni Unite) dalle autorità cinesi nella regione dove vive una minoranza uigura di religione musulmana.
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Sui 47 Stati con diritto di voto a rotazione allo «United Nations Human rights council», 19 hanno detto no alla richiesta di dibattito; 17 a favore e 11 astenuti. Pechino, con la sua azione di proselitismo, è riuscita a dare un duro colpo all'autorità morale dell'Occidente, guidata da Stati Uniti, Canada e Gran Bretagna che si erano fatti promotori della richiesta.
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Il no cinese è stato sostenuto, tra gli altri, dai tradizionali alleati Cuba e Venezuela, da Oman e Arabia Saudita, Pakistan e Indonesia, Somalia. La mozione occidentale era un compromesso diplomatico: proponeva solo un dibattito pubblico, senza un'indagine nello Xinjiang. L'ambasciatore cinese aveva avvertito i votanti che la mozione sullo Xinjiang sarebbe stata «pericolosa», creando un precedente per indagare il comportamento sul fronte dei diritti umani da parte di molti Paesi.
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«Oggi si punta il dito contro la Cina, domani sarà la volta di altre nazioni in via di sviluppo», ha detto sua eccellenza Chen Xu. La sconfitta occidentale è stata accolta da un applauso scrosciante in aula a Ginevra. Il 31 agosto, nel suo ultimo giorno da Alto commissario Onu per i diritti umani, Michelle Bachelet aveva fatto pubblicare un rapporto che ha raccolto «prove credibili su gravi violazioni dei diritti umani» ai danni degli uiguri nello Xinjiang. Decine di testimonianze dirette su «torture, crudeltà e comportamenti degradanti e umilianti». Lo Xinjiang è la regione più occidentale e più vasta della Repubblica popolare cinese. Su 25 milioni di abitanti, circa 13 milioni sono di etnia uigura.
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