ivan zazzaroni
Su Il Fatto Quotidiano una lunga intervista al direttore del Corriere dello Sport, Ivan Zazzaroni. Racconta quando è diventato un personaggio televisivo.
«Dal 1991 convocato da Aldo Biscardi per Il processo del lunedì: cercava visi giovani e mi assegnò uno spazio dal titolo “Segretissimo”; in teoria mi occupavo di calciomercato. In realtà non gliene importava nulla, non ascoltava nulla, non sapeva quasi nulla: si presentava in trasmissione con in mano un foglio gigante, quasi un cartellone, con sopra le frasi scritte a caratteri enormi; poi si sedeva e aveva davanti a sé una serie di televisori collegati tutti sulla concorrenza: quando gli altri andavano in pubblicità, Aldo fomentava la discussione, ci incitava alla lite; le prime volte mica capivo».
CARESSA ZAZZARONI
La vera fama, però, è arrivata con Ballando con le stelle.
«Neanche volevo accettare, ero spaventato. Ero già nel mirino di molti, in particolare colleghi che a volte mi trattano come uno che pensa solo a fare il fenomeno».
Zazzaroni risulta antipatico?
«No, sto proprio sulle palle, soprattutto a chi non mi conosce».
Si definisce un gran lavoratore.
«Lavoro tanto, altrimenti uno non va da nessuna parte».
La prendono per un bluff.
«L’aspetto esteriore è un limite nella percezione delle persone».
VIERI CASSANO
A scuola andava bene, ma «senza massacrarmi». Racconta la Bologna degli anni 70.
«Bellissima; i miei genitori, con sacrificio, avevano deciso di iscrivermi a una scuola privata, la migliore di allora: le mie compagne erano le più belle della città, scarrozzate da macchinoni con autista; io per emergere divenni rappresentante d’istituto».
Ha giocato a pallone in Brasile.
«Prima mediano poi ala. Ero bravo, da ragazzo ho provato pure per Roma, Sambenedettese ed Empoli. Con il calcio sono arrivato fino alla Serie D con il San Lazzaro: sul campo mi sono rotto di tutto, dalla tibia al tendine d’Achille».
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Zazzaroni racconta del Brasile.
«Nel 1979-80 studiavo Lingue e volevo diventare interprete parlamentare e per il Comune di Bologna andai in Brasile: c’era un congresso; lì ho conosciuto una ragazza brasiliana e mi sono trasferito. I miei genitori mi diedero 700 dollari. Quando sono nato mamma aveva 17 anni e papà 18, e da adolescente l’estate pretendevano che lavorassi. A me giravano le palle, invece è stato utile. Con mio padre avevo un rapporto particolare, per anni non ho capito il motivo di dover cenare alle cinque del pomeriggio. Un giorno ho trovato la risposta: alle 8 aveva la seconda cena con la sua seconda famiglia».
Dal Brasile, comunque, tornò con più soldi di quando era partito.
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«In Brasile vivevo a Ribeirão Preto, la città dove è nato Socrates e siccome avevo ancora il chiodo nella gamba mi inventai giornalista sportivo, ma al pallone non ci rinunciavo. L’allenatore del Botafogo era Antoninho, ex della Fiorentina, e mi permetteva di prepararmi con la squadra. Io felice. Mi divertivo come un matto e nel frattempo ero pure riuscito a intervistare proprio Socrates per Stadio».
A Zazzaroni viene chiesto come sono i calciatori a fine carriera. Risponde:
«Quelli che non si sono strutturati per il dopo entrano in depressione; poi ingrassano e vanno in tv a toglierci il lavoro e questo mi fa incazzare tantissimo anche perché spesso non conoscono l’italiano; l’altra sera Del Piero, in tv con Agnelli, è stato eccessivamente remissivo».
Su Mourinho:
«È il mio idolo. È pazzesco, mi ricorda Brian Clough. Clough l’ho conosciuto tanti anni fa per un torneo e sembra una sorta di zio di Mourinho, anche lui polemista, intelligentissimo, percezioni incredibili e nessuna paura».
Continua:
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«Allegri l’avrò sentito cento volte, Ancelotti lo chiamo sempre, anche alla fine dell’ultima partita di Champions. L’allenatore più intelligente è Mourinho. Ancelotti è spaziale, raffinato, uno che ha vissuto e sa stare al mondo».
Da professionista legato allo sport, è ancora tifoso?
«Non di una squadra ma delle persone».
Ci sono i gay nel calcio?
«Certo, e finalmente è il momento di rompere questo tabù».
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