Francesco Musolino per "il Messaggero"
ZEROCALCARE
Improvvisamente il romanesco è sulla bocca di tutti. Dagli stornelli al teatro di strada sino alla commedia all'italiana, sempre sul crinale fra serio e faceto, il dialetto romano è capace di stupire e stordire il pubblico, altissimo o greve, partendo dal popolo ma capace di pungere tutti.
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Caratteristiche che lo rendono anche inviso, come dimostra la polemica nata sull'onda del grande successo riscosso da Strappare lungo i bordi, la prima serie tv creata dal disegnatore Zerocalcare, in streaming su Netflix. C'è davvero chi avrebbe voluto che Michele Rech - in arte Zerocalcare (Arezzo, 1983) usasse l'italiano corrente per raccontare il mondo attorno a Rebibbia, cogliendo la società dei 30-40 enni e le sue disillusioni. Invece, Strappare lungo i bordi, composta di sei puntate da venti minuti, è un omaggio all'essenza capitolina e mentre la polemica sull'eccessivo uso del dialetto montava sui social, il disegnatore entrava a gamba tesa, twittando, «Madonna regà, ma come ve va de ingarellavve su sta cosa», gettando altra benzina sul fuoco.
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IL PLURILINGUISMO «A ben vedere racconta il linguista Luca Serianni la forza di questa parlata è proprio la sua potenza dirompente, il gusto della battuta, la capacità di non prendersi e non prendere mai nulla troppo sul serio, scrollandosi dalle spalle il mondo intero con una smorfia». E mentre il web si schiera ma l'appoggio per Zerocalcare è pressoché univoco in città si terrà Roma, un nome, più lingue, il terzo incontro della rassegna Conversazioni romane (in programma oggi, alle 17 a Palazzo Firenze, in collaborazione con la Società Dante Alighieri e la Fondazione Marco Besso) in cui proprio Serianni, autore del saggioLe mille lingue di Roma(Castelvecchi), ripercorrerà le fasi più salienti del plurilinguismo romano, dall'antichità ai giorni nostri.
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E così, mentre Netflix incassa un altro grande successo dopo Squid Game (in questo caso nessuno si era lamentato che fosse in coreano, senza doppiaggio), il nuovo albo di Zerocalcare - Niente di nuovo sul fronte di Rebibbia, edito da Bao Publishing - è già in classifica, sempre con largo uso di romanesco, sfoderando un'ironia abrasiva, una certa vena di cattiveria che corre accanto al riso - ora omaggiando ora smontando il sacro - come Sordi ne Il Marchese del Grillo. Un'universalità che ritroviamo solo nel napoletano di Troisi e nel siciliano di Camilleri.
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«Il romano è mattatore precisa Serianni quella lingua cade sulle sue fattezze, talvolta rozza e volgare ma sempre capace di indurre al gioco, allo scherzo, lasciando affiorare con forza un elemento dissacrante che infine si rivela liberatorio». Piaccia o meno, il romanesco ha una sua carica esplosiva ma proprio la sua forza può risultare un limite? Edoardo Albinati, scrittore romano e vincitore del Premio Strega con La scuola cattolica (trasposto al cinema, diretto da Stefano Mordini e vietato ai minori di 18 anni) non ha dubbi: «Per Zerocalcare era inevitabile l'uso del romanesco. E non mi riferisco al racconto di Rebibbia, piuttosto alla sua capacità di cogliere quella nevrosi umoristica, arrabbiata e urticante».
LUCA SERIANNI
L'ACCANIMENTO Ma Albinati non si nasconde mai lo dimostra anche nel suo pamphlet, Il velo pietoso (Rizzoli) e prosegue: «Talvolta, il romanesco può anche stufare. Milano s' è presa la pubblicità, tanto che ormai i bambini hanno tutti la stessa cadenza meneghina. Ma il linguaggio della fiction italiana sembra quasi una forma di accanimento fra il romanzo criminale e la gomorreide, smarrendo la genuinità del romanesco, che è ciò che lo rende universale».
Edoardo Albinati