ZINGARETTI: "NON MI FACCIO LOGORARE "
Carlo Bertini per “la Stampa”
ZINGARETTI
«Se vogliono il congresso io sono pronto, certo non mi faccio logorare», sbuffa Nicola Zingaretti rientrando nel suo studio al Nazareno alla fine della Direzione. Dove ha elencato numeri alla mano tutte le riunioni dei vari organismi dirigenti durante la crisi, quindi «tutti i passaggi li abbiamo decisi insieme».
Nessuno ha obiettato niente. Il segretario è stufo del bombardamento quotidiano ad opera degli ex renziani: «Che contestano la linea dell' alleanza con i 5 Stelle, senza dire quale sia l' alternativa», si infiammano i suoi colonnelli mentre fanno il punto con lui sulla situazione. Del resto Zingaretti lo dice chiaro al "parlamentino" dem, cosa intende quando declina il Pd come «una forza riformista a vocazione maggioritaria con una sua idea di Paese: non una forza di testimonianza, bensì un partito che coltiva alleanze per vincere».
ZINGARETTI RENZI
Insomma, la tela delle alleanze con M5s e Leu va cucita e ricucita, ora che il laboratorio del governo Conte è venuto meno. Un governo di cui Zingaretti rivendica la bontà, perché grazie al Pd, «lo stesso Parlamento che li aveva votati, ha ribaltato l' obbrobrio dei decreti Salvini». E che il segretario-governatore stia lavorando ventre a terra su un accordo strutturale con i grillini, lo dimostra una notizia che va maturando in queste ore: l' ingresso nel governo Draghi dell' assessore al Bilancio della giunta regionale del Lazio, Alessandra Sartore, una figura da 7 anni molto vicina a Zingaretti, è propedeutico ad un ingresso dei 5 Stelle nella compagine di governo della regione. Zingaretti avrà dunque un assessore dei 5 Stelle, una svolta costruita come viatico per gli accordi da siglare nelle città che vanno al voto.
zingaretti de gregorio BARBARA D URSO ZINGARETTI
Il 13 marzo parte il congresso E mentre si muove per cercare le intese, deve correre a zig zag per evitare i mortai del fuoco amico. Gli iscritti delle sezioni storiche di Roma, da Ponte Milvio a Garbatella, gli scrivono invocando «uno stop alle liti», chiedendo di trovare i migliori candidati per vincere le elezioni a Roma. Insomma, la base è scocciata di queste risse e pensa a vincere le comunali a Torino, Bologna, Napoli. Molti sono insofferenti verso questo discettare di congresso sull' orlo del burrone: anche la vicepresidente Debora Serracchiani si rivolta contro chi lo chiede ora, quando la sola urgenza a cui pensare è il piano vaccini.
ZINGARETTI BARBARA D URSO
Lui, Zingaretti deve spiegare la svolta nel governo Draghi, che considera un esecutivo di emergenza per fare due cose, Recovery e vaccini. E addossa la colpa a Renzi di quanto successo, poiché la strategia dell' ex leader sia quella di indebolire i dem. «Tutto sarà molto più complesso nei prossimi mesi, anche perché la nostra rappresentanza al governo, dopo il Conte 2, è tornata ad essere proporzionale alla forza parlamentare determinata dalla sconfitta del 2018 e dalle scissioni. Così da 23 siamo passati a 9 componenti di governo, ma se dovremo combattere, lo faremo», dice, accusando chi nel Pd ha giocato di sponda con Renzi per far cadere Conte.
«E visto che siamo 9 dovremo essere 100 volte più uniti», chiede il segretario. Ma le cose non stanno così, per tutto il giorno gli ex renziani fanno partire una batteria di colpi contro Andrea Orlando, che li accusa in un' intervista di voler logorare il leader. «Orlando insegue le ombre, niente letture complottiste, piuttosto al suo posto mi sarei dimesso da vicesegretario», lo attacca Andrea Marcucci, capogruppo al Senato, considerato al Nazareno una quinta colonna di Renzi.
andrea orlando
Il leader deve guardarsi le spalle non solo dai renziani, ma anche dalle donne del partito, che gli contestano di non aver stoppato Draghi e Mattarella quando nominarono i tre ministri uomini. Al riparo dai microfoni gli imputano di aver accettato l' imposizione correntizia dando il via libera a Guerini, Franceschini e Orlando, proprio nel momento in cui lui stesso ha fatto un passo indietro per non far andare Salvini al governo.
«Si doveva imporre lì». Per ora il bersaglio è il suo vice Orlando, De Micheli ricorda di essersi dimessa da vice quando andò al governo, Chiara Gribaudo chiede a Orlando di fare altrettanto. Il segretario prova a suturare «la ferita» (disinfettata facendo 5 donne su 6 sottosegretari) con un' agenda in 10 punti per le donne, dalla 194 alla parità salariale. Per ora si carica anche questa croce sulle spalle. «Io mi assumo tutta la responsabilità politica di aver condotto il Pd ad accettare le scelte fatte in un percorso difficile», dice per far capire che la colpa è sua, quindi di tutti.
ZINGARETTI
ZINGARETTI CORREGGE LA LINEA "SERVE UNA RIGENERAZIONE" LITE ORLANDO-EX RENZIANI
Giovanna Vitale per “la Repubblica”
Era stata convocata per parlare delle donne pd mortificate dalla nomina di tre ministri maschi su tre. Si è trasformata in una Direzione che, per volontà del segretario e nella quasi totale assenza di uomini (forse convinti si dovesse dibattere solo di quote rosa), ha ridefinito il ruolo e il profilo del partito nella nuova stagione aperta da Draghi.
«Quel che serve al Paese», scandisce infatti Zingaretti sul finire della relazione, «è una forza riformista a vocazione maggioritaria che non vuol essere solo di testimonianza, ma che attorno a una propria visione costruisce le alleanze e i numeri per vincere». Di che tipo e soprattutto con chi non è specificato, e anche questo a suo modo è una novità: in quasi 50 minuti di intervento il M5S non viene citato mai, Conte idem.
MATTEO RENZI ALFONSO BONAFEDE GIUSEPPE CONTE NICOLA ZINGARETTI LUIGI DI MAIO – AMICI MIEI
Una formula, «vocazione maggioritaria », che era pressoché sparita dal lessico del leader dem, usata come sinonimo della sconfitta renziana alle Politiche 2018. Presto diventata cavallo di battaglia degli avversari interni, contrari al patto coi grillini, e su questo decisi a ottenere un congresso anticipato. Che ieri Zingaretti ha assecondato, correggendo però la linea: «È tempo di una rigenerazione del Pd», esordisce ricordando l' assemblea nazionale in programma il 13 e 14 marzo «per aprire una discussione sul futuro dell' Italia e il ruolo del Pd». Dove però non si presenterà dimissionario.
Una risposta alle bordate giunte nelle ultime settimane dai sindaci di Bari, Bergamo e Firenze; dalla minoranza di Orfini; dai parlamentari di Base riformista. E tentare pure di placare il vespaio sollevato da Orlando, che in un' intervista al Quotidiano nazionale ha accusato gli ex renziani di puntare «a un logoramento del gruppo dirigente» e a «spaccare il fronte Pd-5S».
NICOLA ZINGARETTI ANDREA MARCUCCI
Una «lettura complottista della realtà, insegue solo le ombre», stigmatizza Andrea Marcucci. «Non è accettabile che chi ha contribuito a fondare il Pd venga rinchiuso nella definizione di ridotta renziana», reagisce la corrente Guerini- Lotti, evocando il congresso.
Antipasto della battaglia che si preannuncia in assemblea. Già servito ieri in Direzione.
Dove Zingaretti ha spiegato che nello scegliere i ministri Draghi ha badato all' equilibrio complessivo della squadra, non a quello delle singole delegazioni, perciò la rappresentanza femminile del Pd ne è uscita penalizzata. «Un errore» che però non può mettere in discussione il tanto lavoro fatto sulle donne: «Il Pd non è all' anno zero», protesta. E adesso non solo vigilerà perché la parità di genere, che «è uno dei pilastri del Recovery», non venga demolito, ma proporrà al governo un' agenda in 10 punti per «valorizzare il protagonismo femminile ». Il gancio che gli serve per lanciare la riforma del partito Ma le dirigenti dem sono scettiche.
nicola zingaretti al quirinale
«Mi dovete spiegare perché una vicesegretaria si è dovuta dimettere per via del doppio incarico e un vicesegretario non lo sta facendo», graffia Chiara Gribaudo. Chiede di tornare alla «vocazione espansiva del Pd» Marianna Madia: «Fino a ieri il nostro progetto era da algebra della politica: tante gambe a cui appaltiamo qualcosa, un pezzo ai 5S, un altro a Calenda. Ma questo ci porta fuori dalla ragione fondativa del Pd.
Le alleanze si devono fare sulla forza e non sulle debolezze. E noi purtroppo siamo ancora fermi al 18%».
RENZI ZINGARETTI
Barbara Pollastrini, da sinistra, invoca invece un congresso vero: «Sarebbe un nuovo inizio». Per Titti Di Salvo «il Pd è incontro fra le migliori culture riformiste, resta da capire se è sintesi o solo somma». Paola De Micheli attacca i renziani: «Durante la crisi del Conte II, mentre Zingaretti e il capodelegazione difendevano un progetto politico, in troppi per motivi non sempre legittimi lavoravano a disfare la tela che di giorno veniva costruita. Nessun congresso, caro Nicola, potrà risolvere il problema di come si sta dentro a questa comunità. La slealtà è uno stile politico che la tua segreteria ha ereditato, ma ora va chiarita». La resa dei conti è appena iniziata.
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