Simone Disegni per www.open.online
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Meta, la società proprietaria di Facebook, Instagram e Whatsapp, ha accettato di pagare 725 milioni di dollari per risolvere la class action presentata nei suoi confronti per le violazioni dei dati personali degli utenti. Il procedimento giudiziario era stato attivato negli Usa nel 2018, dopo che lo scandalo Cambridge Analytica aveva fatto emergere come Facebook consentisse a parti terze – tra cui la società britannica di ricerche – l’accesso alle informazioni personali di decine di milioni di utenti.
Cambridge Analytica
La proposta di settlement del caso è stata resa pubblica nei documenti giudiziari ieri, 22 dicembre. Se sarà accettato, hanno evidenziato gli avvocati che seguono il caso, la somma che Meta verserà sarà la più alta mai versata per risolvere una class action (un ricorso presentato collettivamente per conto di una vasta gamma di consumatori, da tempo consenito negli Usa e dal 2010 anche in Italia).
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LA VERSIONE DI MARK
Tecnicamente, Meta ha proposto di risolvere con l’esborso il caso, ma non ha ammesso alcun torto, limitandosi a indicare in una nota come la risoluzione del caso vada incontro «al miglior interesse della nostra community e degli azionisti». Meta rivendica anche di avere negli ultimi tre anni «rinnovato il nostro approccio alla privacy e implementato un programma completo per tutelarla».
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In precedenza, la società aveva argomentato che gli utenti non hanno alcun interesse legittimo sulla protezione delle informazioni che condividono con gli amici sulla piattaforma. Ma il giudice distrettuale Vince Chhabria aveva respinto nettamente tale tesi, procedendo nell’esame del ricorso. Per gli avvocati che l’hanno presentato, Facebook faceva credere di fatto agli utenti di poter avere il controllo di dati personali che in realtà venivano venduti a parti terze.
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LE ALTRE SANZIONI PAGATE E IL FASCICOLO APERTO
Già nel 2019, dopo l’esplosione dello scandalo Cambridge Analytica – società nel frattempo chiusa – Facebook aveva accettato di pagare 5 miliardi di dollari per risolvere l’indagine sulle pratiche scorrette aperta dalla Federal Trade Commission americana, e altri 100 milioni di dollari di sanzione alla Securities and Exchange Commission – l’ente supervisore degli scambi di Borsa – per aver ingannati gli investitori sull’uso dei dati personali degli utenti. Resta tuttora aperta l’indagine del procuratore generale di Washington.