Eugenio Capodacqua per “la Repubblica”
lance armstrong
QUASI cinque lustri di scandali a ripetizione. Così il ciclismo è arrivato sull’orlo del suicidio. Con un doping tollerato, ammesso, coperto, favorito direttamente o indirettamente dalle stesse strutture deputate al controllo. E la prova, oggi, è documentata nelle corpose 200 pagine (e 174 interviste di atleti, ex, dirigenti, addetti ai lavori) della relazione conclusiva della speciale commissione (Circ) voluta proprio dall’Uci, la federazione internazionale, nel tentativo di recuperare immagine e credibilità. Lì c’è tutto il dramma di uno sport che non ha voluto vedere il baratro in cui stava piombando, uno sport distrutto dai suoi stessi dirigenti, mondiali e nazionali.
Dai suoi stessi interpreti: atleti, medici, manager, massaggiatori, tifosi, giornalisti e dirigenti. I primi a non rispettare le regole. Il doping nel ciclismo è una cultura antica “che non si sradica in due-tre stagioni”. E oggi l’eredità è pesante ancorché in una forma meno efficace e “potente”. Il doping vale ancora una prestazione migliore del 3%-5% invece dell’8%-15% degli anni di Epo selvaggia e di doping tollerato.
ciclismo filippo simeoni vuelta
E il futuro non conforta: se un paese come l’Italia si muove, altri, specie all’Est del mondo, poco o nulla fanno. La relazione traccia la storia del doping nel ciclismo, dell’Uci e degli scandali più eclatanti. Un elenco infinito: dal caso Pdm, la vicenda “intralipid” dell’intossicazione inspiegabile al Tour 1991 che portò al ritiro dell’intera squadra; all’indagine italiana sulla farmacia bolognese “Giardini Margherita” (1997) che vide implicato per la prima volta il medico Ferrari.
le vittorie di lance armstrong
Al famigerato caso-Festina al Tour ’98, segnale di un doping tanto generalizzato quanto tollerato dall'Uci. Passando per la vicenda Telekom 2009 (Epo); per gli anni 1998-2005 del doping “più sofisticato di sempre”, quello dell’americano Armstrong; per le provette mal conservate che non hanno consentito di inchiodare Hamilton ai Giochi di Atene; per l’inchiesta italiana “Oil for drug” che coinvolse Danilo Di Luca, oggi squalificato a vita; per i casi Millar e Cofidis (2006).
ARMSTRONG WINFREY
Passando anche per le sacche di sangue taroccato dell’Operacion Puerto spagnola, abortita su pochi ciclisti lasciando fuori tanto altro sport; per la positività dell’americano Landis al Tour 2006 che ha preceduto l’inchiesta dell’antidoping Usa sfociata nella confessione del texano vincitore (poi espropriato) di sette Tour; per l’emodoping nel 2007 del kazako Vinokourov, ex campione olimpico, attuale dirigente Astana.
Fino alla storia della Lampre, ancora sotto processo a Mantova; all’indagine di Padova di Nas e Finanza (ancora Ferrari e la sua “rete”); alle recentissime vicende dell’Astana 2014 con 5 positivi in una sola stagione.
vincenzo nibali
Oggi va un po’ meglio, ma con microdosi notturne e medici complici ci si beffa anche del “passaporto” biologico, strumento importante nella lotta: 26 atleti presi in 3 anni. Si passa dall’epo e gli ormoni, alla trasfusione autologa che non si becca, dai prodotti ancora non vietati, alle molecole in via di sperimentazione. Tutto quanto serve all’eterna corsa al risultato ad ogni costo.
Non è escluso neppure il doping “meccanico”: bici truccate con piccoli motori elettrici nascosti. Ci sono medici complici (69 coinvolti dal 1985), test e strumenti operativi da perfezionare, rispetto dell’etica da affermare. E' il quadro di uno sport disastrato, tutto da rifondare.
CICLISMO